La voglia irrefrenabile di vedere un mondo che scelga di diventare più green tira brutti scherzi a una categoria di eco-ottimisti che vede il bicchiere di Parigi mezzo pieno (o anche più) e così senza accorgersene  _ da prospettiva ovviamente opposta _ finisce paradossalmente per remare nella stessa direzione dei negazionisti perchè prende per buone le promesse dei governi ed edulcora la realtà invece di descriverla per quella che è, e non chiede impegni più significativi. Accontentandosi delle belle parole e delle solenni promesse, contribuisce senza rendersene minimamente conto a rendere più caldo il pianeta.

Ma Cop 21, non è Disnenyland e dire che da oggi l’economia fossile è ufficialmente in via di estinzione è una sonora stupidaggine. Lo era da prima, ma in un arco di 40-60 anni. C’è persino chi afferma che gli osservatori che definiscono l’accordo di Parigi acqua fresca (in realtà tra gli scettici il giudizio è di solito un filo più elaborato..) sono più ideologici che bene informati. La realtà è opposta. E’ chi afferma l’importanza reale dell’accordo di Parigi ad essere ideologicamente prevenuto nel senso dell’eco-ottimismo e strutturalmente teso a negare la realtà, e a non valutare per quelle che sono le informazioni che ha. Non male informato, quindi, ma molto peggio. La stessa citazione di un recente studio del World Resources institute fatta dal Guardian , e male interpretata dagli eco-ottimisti, indica con chiarezza che al 2030 avrà raggiunto il picco delle emissioni solo un numero di paesi pari al 55% delle emissioni totali. Per capire cosa significa basti pensare che nel 2010 i paesi che avevano raggiunto il picco erano pari al 32% delle emissioni globali. Questo significa che in 20 anni si aggiungerebbero paesi solo per un altro 23%. Un pò poco se davvero fossimo di fronte a una rivoluzione e non _ come è _ a un lento e inesorabile cambiamento, che modificherà la faccia al mercato energetico ma, a meno di un cambio di passo vero, non ci salverà da cambiamenti climatici distruttivi. E infatti l’autrice dello studio, Kelly Levin, correttamente ammette “il numero dei paesi è incoraggiante ma ancora insufficiente a evitare i peggiori impatti: è necessario anticipare il picco di 10 anni”. E infatti.

Oltre tutto, l’accordo di Parigi non ha che un ruolo del tutto marginale in tutto questo perchè non contiene ALCUN obbligo sul fronte della mitigazione delle emissioni. E questo significa che non vi è alcuna certezza _ ZERO _ che i già insufficienti tagli saranno effettivamente realizzati. Figuriamoci i successivi. Siamo sul piano degli impegni totalmente volontari, e sono impegni che sono stati presi ben prima di Parigi. Basti pensare alla promessa della Cina di stabilizzare le emissioni di Co2 al 2030 ( della co2 ma non degli altri gas serra che pur contano per il 20% delle emissioni climalteranti cinesi..) preso a novembre 2014 nell’incontro al vertice Obama/Xi.

Quanto al carbone è un fossile vivente ma per adesso ha visto aumentare dal 23% del 2000 al 29% di oggi la sua percentuale nel global energy mix, e se al 2040 scenderà a un terzo dell’attuale in Europa ancora resterà centrale in Asia: è qui che nel 2040 sarà bruciato l’80% del carbone. Sercondo l’Iea nel 2040 il carbone scenderà dal 41% attuale al 30% del global electricity mix (e fuori dall’Europa avrà il 15%). Questo significa che il suo declino è irreversibile, non che, trionfalmente, è oggi in via di estinzione, soprattutto non nei tempi nei quali sarebbe necessario. C’è, costa poco e in una Asia affamata di energia verrà usato ancora per decenni.

In ultima analisi ha ragione l’ottimo George Monbiot che sul Guardian ha scritto: “Rispetto a quello che poteva essere Parigi è un miracolo, rispetto a quello che avrebbe dovuto essere è un disastro”.