A cinque anni dalla tragedia nucleare di Fukushima, nonostante le ricostruzione dell’incidente stesso e delle sue conseguenze fatta dall’Aiea tenda a sottostimare _ una tradizione per l’International Atomic Energy Agency di Vienna _ gli effetti per la popolazione e l’ecosistema,  la contaminazione ambientale, vedi rapporto di Greenpeace, resta vasta e gli sforzi  decontaminazione, che teoricamente dovrebbero richiedere 40 anni per il sito ma non potranno mai comprendere le aree forestate ed agricole, potranno solo limitare l’inquinamento radioattivo, che proseguirà per molti decenni se non secoli e per alcune zone a nord est della centrale a livelli anche molto superiori di quelli registrati per l’incidente di Chernobyl.

Ha suscitato un qualche conforto la notizia che l’allora presidente della Tepco _ la società che gestiva la centrale _ Tsunehisa Katsumata, e i suoi vice Sakae Muto e Ichiro Takekuro sono stati rinviati a giudizio dalla procura di Tokio e dovranno rispondere di negligenza in disastro nucleare: gli verrà addebitata la morte di 57 persone, oltre che gli enormi danni materiali causati dall’incidente. Il lorio rinvio a giudizio è una vittioria dei 14.716 cittadini di Fukushima che fecero causa alla Tepco. Nel settembre 2013 infatti il capo della procura di Tokio negò per “mancanza di prove” la procedibilità nei confronti dei tre manager, ma grazie ad un meccanismo introdotto nel sistema giudiziario giapponese nel 2009 una corte popolare eletta dai cittadini nel luglio 2014 ha rigettato la richiesta di non luogo a procedere, che il procuratore ha reiterato per una seconda volta e che la corte popolare ha nuovamente bocciato nel luglio 2015. La procura di Tokyo ha cosi dovuto lo scorso 26 febbraio rinviare a giudizio presidente e vicepresidenti della Tepco. Il processo dovrebbe iniziare tra agosto e settembre.

Ma le buone notizie finiscono qui. Ai vertici della Tepco sarà impossibile difendersi dalle accuse di non aver messo la centrale in condizioni di proteggersi dal rischio Tsunami: tra l’altro un documento interno distribuito in una riunione avvenuta il 10 settembre 2008 prova che il management della Tepco era pienamente consapevole della necessità di farlo. Ma anche se fossero condannati, i vertici di Tepco se la caverebbero con un buffeto sulla guancia. Il reato è considerato colposo e quindi rischiano una condanna fino a cinque anni (che probabilmente non sconterebbero in carcere perchè il presidente ha 75 anni e i vice 65 e 69) oppure una multa fino a 1 milione di yen (che sarebbero la miseria di 7.882 euro). Il processo consentirà di cristallizzare la pesantissima responsabilità politica e morale dell’industria nucleare giapponese e ribadire che i rischi intrinsechi di questa tecnologia vengono grandemente accresciuti dal tentativo pervicace e ricorrente di chi la utilizza a minimizzare i rischi e di conseguenza le misure di protezione. Ma da qui a chiamarla giustizia, ce ne corre.