A VEDERE il bicchiere mezzo vuoto si candidano indiscutibilmente a conquistare la medaglia d’oro della sfortuna: i sorrisi tristi e malinconici della tuffatrice Tania Cagnotto e della ginnasta Vanessa Ferrari private per un niente di un alloro olimpico che avrebbero meritato per la loro determinazione e la straordinaria voglia di competere che le ha contraddistinte in questi anni fotografano forse molto più delle parole retoriche dei commentatori televisivi la nostra spedizione londinese.

Che è fatta di atlete straordinarie (su tutte le “vecchie” Valentina Vezzali e Josefa Idem), di divine scese dal piedistallo (ma guai a scordare il passato di Federica Pellegrini), di clamorose e inaspettate scoperte (chi era per tutti noi fino all’altro giorno Jessica Rossi?), ma anche di umane umanissime ragazze che s’immolano in massacranti allenamenti per quattro lunghi anni in attesa della gara della vita, che arrivano quasi fino in fondo senza però provare la gioia della ricompensa, il podio o addirittura la possibilità di ascoltare, emozionate, l’inno italiano. Sistemate là dove poi nessun albo d’oro della manifestazione ti segnalerà, sul quarto inesistente gradino di una classifica che a loro ha riservato soltanto la medaglia di legno.

Una beffa per chi pensa che conti soprattutto vincere, una delusione grandissima per loro che hanno avuto la sensazione di acciuffare finalmente un sogno durato quattro lunghi anni e non ci sono riuscite. Ma anche, perché no?, la certezza che di più e di meglio non potevano fare. E al diavolo poi se c’erano tre atlete migliori di loro… questa è la gara, questo si deve accettare.

Ecco il messaggio di Tania e Vanessa: noi ci siano state, abbiamo giocato (pulito), lottato fino in fondo e perduto per un niente. E scusate se ora ci viene da piangere….

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