Quasi tutti questi “oriundi” scelgono l’Italia non per spirito di appartenenza, ma per partecipare a manifestazioni per nazionali in quanto, nelle loro, non avrebbero nessuna possibilità di essere convocati. Federico, ilgiorno.it 

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Non dimentichiamoci che spesso gli oriundi sono discendenti di italiani emigrati e se ritornano è solo un bene per noi, un modo per ricompensare le loro famiglie.

Antonello, ilgiorno.it

 

C I RISIAMO, a 12 anni dal caso Camoranesi, l’italoargentino che Trapattoni portò in azzurro 40 anni dopo l’ultimo oriundo (Sormani) e che con Lippi si laureò campione del mondo nel 2006, il dibattito sugli italo-qualcosa in nazionale non cessa di appassionare; anche perché, tra Camoranesi e la coppia Eder-Vazquez, sono passati numerosi passaportati. Anche tralasciando il discorso tecnico, il punto è sempre lo stesso: come conciliare i nuovi diritti individuali derivati dalla globalizzazione con la tradizione propria del gioco? Il pericolo è che anche nel calcio si arrivi alla situazione paradossale a cui purtroppo è già approdato il basket, dove alcune nazionali, soprattutto dell’Europa dell’Est, hanno letteralmente preso ad acquistare le prestazioni di americani fuori dal giro di Team Usa. Non c’è bisogno di essere conservatori o autarchici per capire che in questo modo le competizioni per nazionali perdono di significato. La vittoria è un bene troppo prezioso per farne una questione di passaporto.

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