UNA MADRE ha ucciso il proprio figlio e poi si è impiccata. Questa, l’ultima notizia (in ordine di tempo, purtroppo) urlata su tutti i mezzi di comunicazione. Dio salvi l’anima di una donna che ha compiuto il gesto più innaturale che esista: quello di togliere la vita a chi prima l’aveva data. Un gesto innaturale, compiuto in evidente stato mentale alterato. Cecilia si sentiva sola. Abbandonata. Economicamente fragile. E nessuno ha potuto salvarla. Maria Visone, Milano

LA NASCITA di un figlio dovrebbe essere un evento gioioso, ma purtroppo la cronaca racconta un’altra storia. Alcuni sostengono addirittura che la depressione post partum sia solo «un mito da sfatare» e l’ennesima malattia inventata dalle industrie per fare soldi. In realtà (e la vicenda di Bolsena è lì a dimostrarlo drammaticamente) non è così. Una madre che non ha aiuto alcuno per crescere il proprio bimbo, che rimane spesso in casa, da sola, a badare completamente a lui, che mette da parte i suoi bisogni, è una donna in pericolo. E l’intelligenza, che ha sede nel cervello, rischia di andare a farsi benedire. Perché il cervello, come recita un detto popolare, «è come un chicco di riso» e se è sovrastimolato, dà segni di corto circuito. Una madre sola e stanca, tanto stanca, fa pensieri innaturali, perde la testa, come si usa dire con una frase non esattamente derivante dal linguaggio medico, ma che rende l’idea. Ma quali percorsi di abbandono, solitudine, emarginazione, ignoranza si sono intrecciati nella vita di Cecilia? [email protected]