Il nostro è uno strano Paese pieno di contraddizioni ed ipocrisie che sul problema della violenza maschile contro le donne da sempre reagisce operando spostamenti di responsabilità: per una lunga fase, mai completamente esaurita, dall’autore alla vittima, poi all’altro differente, migrante irrispettoso dei diritti delle donne ed ora, a fronte dell’evidenza dei dati che non lasciano spazio ai dubbi, al passante indifferente. Ma che senso ha?
Francesca L., Milano

MENTRE SI VERSANO fiumi di inchiostro, imperversano programmi televisivi e radiofonici, rimbalzano post, si organizzano fiaccolate e flash mob, qualcuno dovrebbe chiedersi a che punto siamo con l’ applicazione di quanto previsto dalla convenzione di Instanbul, dove sono i previsti programmi di educazione nelle scuole, i finanziamenti per i centri antiviolenza, le risposte concrete a sostegno delle donne che sporgono denuncia e provano a riprendersi la propria libertà.
Sara è morta in completa e assordante solitudine, nell’indifferenza generale perché la violenza contro le donne è considerata ancora oggi un fatto privato. Però adesso a distanza di giorni siamo convinti che di parole ce ne sono state tante ed è arrivato il momento di fare. E allora l’unica strada che ci può consentire di vincere la battaglia contro il femminicidio, ma non solo, è quella della cultura. Solo un profondo cambiamento culturale farà sì che gli uomini smettano di considerare le donne una loro proprietà.
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