Aspetto fiduciosa il grande attacco hacker (Anonymous?) che nelle prossime ore dovrebbe spegnere tutto il web, bloccando i 200 ‘root server’ che a livello mondiale gestiscono il traffico della Rete. L’aggettivo fiduciosa ha due motivazioni: di solito, se un attacco hacker è annunciato, anzi strombazzato come in questo caso, non è poi così efficace e non porta alla catastrofe prevista; dovessero davvero bloccare tutto per qualche ora, me ne farò una ragione e vivrò per un periodo limitato di tempo senza mail, Facebook e Twitter (e anche senza lavoro, visto che sono una giornalista web). Certo, il mondo si bloccherà, le aziende avranno danni enormi, ecc ecc, ma solitamente il tutto si risolve in breve tempo.

Segnalo invece un “blocco”, molto meno temporaneo, che è più corretto chiamare censura: da metà febbraio, la polizia cinese ha arrestato complessivamente 1.065 sospetti e cancellato più di 208mila messaggi “nocivi”. Sono stati ‘avvertiti’ gli operatori di oltre 3mila siti internet. Ufficialmente il giro di vite mira a contrastare il contrabbando di armi, droghe, prodotti chimici pericolosi, oltre che alla vendita di organi umani e di informazioni personali (tutti obiettivi più che consivisibili).

In realtà, Pechino soffoca le voci ostili senza tanto andare per il sottile. La riprova? I due principali siti di microblogging in Cina, ‘Sina Weibo’ e ‘Tencent QQ’ sono stati costretti a sospendere le loro attività, dopo aver diffuso una decina di giorni fa voci di un imminente golpe militare.