Twitter e Youtube (e altri 160 siti) bloccati, Facebook chiuso e riaperto dopo aver solertemente rimosso l’immagini contestata, quella il pm Mehmet Selim Kiraz con la pistola alla tempia mentre era tenuto in ostaggio da due militanti del Dhkp-C, martedì scorso, prima del blitz delle teste di cuoio (il magistrato, rimasto ferito, è morto in ospedale, dopo il blitz). Accade in Turchia, e non è certo la prima volta, ne in Turchia ne al mondo. In Turchia era già successo un anno fa, per impedire la diffusione delle denunce di corruzione contro il governo islamico-conservatore al potere. Ma dalla rivolta iraniana nel 2009 al London riots del 2011, passando per i paesi della Primavera araba fino alla ‘chiusura permamente’ di molti siti occidentali da parte del governo cinese, l’elenco delle censure web è lunghissimo.

Cosa c’è di nuovo, di diverso in questo provvedimento? La tipologia dell’immagine ritenuta ‘da cancellare’: quella di un uomo che morirà poco dopo, per le ferite (probabilmente) di quella pistola. Come tutte le immagini di guerra, racconta più di tante parole. A me personalmente aveva fatto venire in mente le foto di Aldo Moro nel covo Br: un altro uomo destinato a morire di lì a poco per mano dei terroristi.
Chi fa informazione su giornali, web, tv, sa benissimo che da molti anni il limite di ‘ciò che è opportuno pubblicare’ si sposta continuamente in avanti: oltre il buon gusto, oltre la decenza, oltre la pietà.

 
Qualche esempio: chi si ricorda il feroce dibattito sul non pubblicare le foto di Diana morente nel tunnel dell’Alma a Parigi (1997)? Non abbiamo visto nemmeno (perché ai tempi pochissimi siti occidentali lo ritennero pubblicabile) il vero video dell’esecuzione di Saddam, ma qualche anno dopo le foto di Gheddafi morto non erano certo uno spettacolo ‘umano’. Come non lo sono mai i morti in guerra, di qualunque guerra.
Quello che è cambiato irrimediabilmente negli ultimi anni è la ‘non-mediazione’ dei social media. Facebook, Twitter, Youtube, Instagram, ecc: tutti sono diventati editori di se stessi, con un pubblico che dipende dal numero di amici o di follower. Oggi vedremmo Diana e Saddam, è già un fatto eccezionale che il Pentagono sia riuscito a non far circolare la morte di Bin Laden (e non dite che è andata così perché non è mai successo!).

 

 
Chi fa informazione, come me, deve continuare a porsi il tema di ‘ciò che è giusto pubblicare’: ad esempio qualche testata tv ha deciso di non mandare più i video-propaganda dell’Isis. Anche se saremo sempre più inesorabilmente ‘sconfitti’ dalla libertà del web in generale e dei social in particolare: ci sarà sempre qualcuno che pubblicherà su Fb o su Instagram le foto e i video che noi riteniamo ‘inappropriati’.
Giusto o sbagliato? Non importa, anzi: importa, ma non possiamo farci niente. Oppure sì, possiamo spegnere la Rete o i suoi principali attori, come ha fatto quel giudice turco. Io sono contraria a questa censura, e voi?