Affari di famiglia

Ma perchè l’ospedale non può essere più accogliente? Ecco da dove cominciare

LE SCRIVO perchè purtroppo sono in un ospedale di Careggi da un mese per una infezione che mi impedisce di camminare e di farmi operare al femore. Stando qui da tanto tempo e senza parenti che possano venirmi a fare compagnia, mi sento tanto solo e mi chiedo perchè l’unico svago offerto sia la televisione, che oltretutto mi costa cinque euro ogni due giorni. Potrei usare il computer, scrivere delle mail, ma qui non c’è niente, neanche la linea. Io penso che guarirei prima, se mi sentissi meno solo e infelice. Lei che è sempre attenta a questi temi, mi aiuta a farmi capire meglio?
Lettera firmata
CARO LETTORE, come si fa a non darle ascolto? Come non chiedersi se le Tac, i chirurghi, le medicine, siano gli unici ingredienti di una buona salute? Proprio ieri, a Firenze, c’è stato un convegno che mi ha incuriosito. Filosofi, medici, architetti, amministratori, si sono riuniti per discutere di un progetto che si chiama “Behome” (“Essere a casa”), ideato dalla dottoressa Lilli Bacci, e che ha come scopo quello di rendere più accoglienti le stanze d’ospedale. Tanti studi hanno infatti dimostrato che se i degenti possono circondarsi dei loro oggetti, se possono portarsi cose personali che li faccia sentire un po’ a casa e che assorbano lo sguardo anzichè consegnarlo a spazi vuoti e freddi, il benessere cresce e la voglia di guarire anche. Basterebbero piccoli ma significativi passi, come prevedere una nicchia in cui mettere i propri oggetti, e non solo la tazza della colazione o le posate. Se poi a questo si potessero aggiungere una tenda, qualche foto, un capriletto, i libri, una lampada soft, dei fiori, ecco, riuscite a vedere come cambia tutto con così poco? E come saremmo più a nostro agio, in una fase in cui il corpo è già fragile e bisognoso? Mi sembra un buon modo per interrogarsi sul significato pieno della cura: dietro un femore, un’infezione o una malattia, c’è una persona. Ed è tutto collegato, come ci spiegano i saggi. Lei poi parla del computer e facciamo nostro il suo appello: se c’è un luogo in cui il Wi-Fi gratis e aperto a tutti avrebbe un senso, quello è un ospedale. Se c’è un tempo in cui collegarsi a Internet e al resto del mondo è non solo legittimo ma direi curativo, quello è il tempo di una degenza. Chissà perchè non c’è. Qualcuno può risponderci?
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