Guai a chi tocca gli Hospice: proteggiamo quegli angeli che ci aiutano a lasciare la vita
Il desiderio di nostra figlia Giulia, che ci ha lasciato pochi giorni fa all’età di 30 anni, era andarsene con dignità, senza soffrire inutilmente. Non ha mai smesso di lottare nè si è mai tirata indietro davanti alle cure, ma con lo stesso coraggio con cui ha affrontato la malattia ha accettato il suo destino, prima di tutti noi, nel caso non ci fosse stato nient’altro da fare. Questa esperienza vissuta da e con nostra figlia ci ha permesso di conoscere una struttura dell’Asl di cui ignoravamo l’esistenza sul nostro territorio. Con queste poche righe, dunque, non solo vogliamo ringraziare l’Unità di Cure Palliative (…) e tutto lo staff dell’Hospice San Felice a Ema, ma vogliamo anche far conoscere l’esistenza di un luogo di accoglienza e ricovero per i malati giunti al termine della vita…
La famiglia di Giulia Piccardi
Per molti motivi conosco bene gli Hospice, e non solo quello di San Felice a Ema. E per altri più comprensibili motivi conosco le difficoltà che abbiamo noi esseri umani - soprattutto in questa parte di mondo - a nominare l’unica cosa certa che ci può capitare, morire. Qualche giorno fa mi hanno detto che, visti i necessari tagli alla sanità, un dirigente della Regione Toscana aveva proposto di chiudere un Hospice. Mi è sembrata una bestialità. Dopo anni di battaglia per inserire la fine della vita nel percorso sanitario, per definire medicina anche quella esercitata dopo il tramonto di ogni speranza di guarigione, per assicurarci la cura l’ascolto l’attenzione nell’ultimo pezzo del cammino, il più difficile, il più doloroso, ecco, dopo tutto questo lavoro può arrivare un tecnocrate qualsiasi e decidere che il luogo in cui si va a morire degnamente, infondo, è il più superfluo. Ho saputo poi che questa strana idea gettata come un sasso nello stagno è stata subito fermata, anche grazie alla crescita esponenziale dei pazienti che chiedono di entrare in queste strutture e alle lusinghe che arrivano da tutta Italia per averci pensato prima di tanti altri. Se il paradiso esiste, lo vedremo poi. Ma la serenità che ho visto nei malati e nei loro familiari una volta varcata quella porta, una volta approdati nel luogo in cui sia i medici che gli infermieri che i volontari sanno affrontare e toccare il dolore fisico o spirituale e hanno gli strumenti per lenirlo, quella serenità, dicevo, è già un pezzo di paradiso in terra che a questo punto della Storia abbiamo il diritto di concederci. Grazie Giulia per averci permesso di ripeterlo ancora una volta.