Affari di famiglia

La solitudine di chi sta accanto a un malato di Alzheimer: hanno bisogno di aiuto

 

Cara Signora, ho un marito malato di Alzheimer e passo le mie giornate chiusa in casa con lui. Le scrivo perchè non so a chi rivolgermi, non so a chi parlare della mia solitudine e a volte anche disperazione. Lui non è abbastnza grave per essere ricoveratoma nello stesso tempo io non mi sento in grado di reggere da sola la situazione: ci sono dei pericoli, lui cerca di uscire di casa da solo e a volte mi scappa, e poi urla e a volte è violento. Ho paura. Ma in questi casi non c’è qualcuno che possa venire a casa ad aiutarmi? Cosa devo fare? Chi mi insegna a gestire un uomo così? Il mio medico di famiglia dice che ancora non c’è altro da fare e mi dà solo i farmaci. Le chiedo aiuto.

Maria

 

Magari avessi il potere di aiutarla. Però posso girare questo appello a chi gestisce la sanità nella nostra città e direi in Toscana, aggiungendo che lei certo non è un caso isolato e che tanti, troppi, scrivono lettere come la sua. Vede, si calcola che in Toscana i malati di Alzheimer (o patologie affini) non autosufficienti siano almeno 80mila. Una piccola parte, i più gravi, sono ricoverati nelle residenze sanitarie, gli altri sono completamente a carico delle famiglie o dei badanti. Ma non è questo lo scandalo: sarebbe assurdo pensare che tutti i malati (fra l’altro in vertiginoso aumento anche per via dell’allungamento della vita) debbano essere chiusi in una struttura sanitaria, che oltretutto succhia enormi risorse pubbliche. Quindi: perché non cominciare seriamente ad aiutare i parenti e chi se ne prende cura a casa? Perché non cercare di migliorare al massimo le condizioni dei pazienti e delle famiglie ottimizzando sia la qualità della loro vita sia le risorse economiche a disposizione? Tempo fa sono stata invitata a passare qualche ora in uno degli atelier che la società della salute di Bagno a Ripoli ha messo a disposizione dei malati di Alzheimer e delle loro famiglie (l'organizzazione è a cura dell'Aima insieme alla Cooperativa Nomos). E chiara è stata la percezione che lo stare insieme, l’interagire, il parlare delle notizie del giorno, dei propri ricordi, disegnare, fossero (e siano) stimoli preziosissimi per la mente in fuga di queste persone. Ma ho poi saputo che anche i test fatti al termine di questa sperimentazione hanno dimostrato che le loro capacità sono migliorate. Con benefici per tutti, anche per i parenti. Dunque perché non aumentare questo tipo di assistenza semi-domiciliare? Perché lasciare sole le famiglie che sono ormai le uniche risorse su cui contare?

Geraldina Fiechter

 

 

 

 

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