Affari di famiglia

“Il cancro è una malattia seria, ma parlarne aiuta a guarire”

Ho letto della tragica notizia di quel signore che si è ammazzato perché era malato di tumore. Io penso che siamo avanti in tante cose ma non nel rapporto con le malattie. La nostra sanità dovrebbe
dedicarsi di più al rapporto con le persone e aiutarle ad affrontare il male. Glielo dica ai nostri assessori.
Paolo Mazzanti, Scandicci

Tempo fa parlavo con il dottor Gianni Amunni, direttore dell’Istituto toscano tumori e consulente della Regione Toscana. Mi raccontava che a differenza dei colleghi cardiologi o neurologi quando si presenta alle persone dicendo che è un oncologo c’è ancora chi tocca ferro. Eppure, diceva, da noi si muore molto più per malattie cardiovascolari o degenerative che per tumore. Non solo. I passi fatti in questi ultimi anni sono tali e tanti, sia nella prevenzione che nelle cure, che ormai il 60 per cento delle malattie oncologiche guariscono, e tante di quelle che restano si cronicizzano (infatti oggi si parla di riabilitazione oncologica, cosa fino a poco fa impensabile). Se poi scendiamo nei dettagli, tumori come quello al seno - in una città come Firenze, dove le campagne di prevenzione sono a tappeto – vantano il 90 per cento di guarigioni (in numero di sopravvissute dopo 10 anni). Però la parola cancro continua ad evocare morte. Si preferisce non dirla, non nominarla, resta il simbolo del male oscuro che ci sconfigge portandoci via la vita. In questo senso è vero: più va avanti la scienza e più ci è difficile ricordarsi che siamo mortali e che la malattia, la sofferenza, possono far parte del percorso. E’ come se ci fosse una enorme sproporzione fra i mezzi messi in campo per allungare la vita e quelli altrettanto necessari per accettare il dolore, la menomazione, l’ineluttabile (“La morte? Resto contrario”, diceva Woody Allen in un film). Lei vorrebbe che lo dicessi agli assessori. Bene. Ma il lavoro che dobbiamo fare è più grande e ci riguarda tutti. A cominciare dai medici, la cui missione prima di essere quella di dare la guarigione – come rischiamo di pensare oggi – è quella di dare la cura. E per prendersi cura di qualcuno bisogna stabilire un contatto umano. “Nulla sa più di fiele del soffrire, nulla sa più di miele dell’aver sofferto”, diceva un grande mistico medievale. Ecco, abbiamo bisogno di parlarne di più. E di stare molto vicini.

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