Da un anno e mezzo la crisi greca, poca roba all’inizio, ha continuato ad avvitarsi grazie a tecnocrati e cacciaviti tedeschi che predicavano austerity, rigore, lacrime e sangue. L’imperatrice Merkel, forte dell’appoggio dei custodi dell’euro, ha dettato e concordato con Sarkozy i programmi per tutti, e dileggiato i paesi cicala che non riuscivano a star dentro ai rigorosi e rigidi parametri.

Ora la stessa Germania si accorge che la medicina della Cancelliera rischia di far morire il malato Europa: non solo Grecia, Irlanda e Portogallo, non solo Spagna e Italia, ma anche la integerrima Olanda ha seri problemi a rispettare il patto europeo, ha abbassato le proprie ambizioni e limato la propria supponenza. E la nuova Francia non sembra disposta a proseguire sulla medesima traiettoria tracciata dalla coppia Merkozy.
Al di là delle dichiarazioni di facciata, l’Europa s’è messa a far stime sull’eventuale uscita della Grecia dall’euro: costerebbe 185 miliardi alle banche tedesche e poco meno di dieci mila euro (è la valutazione di Ubs) per ciascun cittadino dei lander, poco meno del prezzo che pagherebbero italiani e spagnoli.
Le Borse perderebbero il 15% (ma forse l’uscita è già scontata dalle valutazioni odierne, soprattutto a Milano) e gli spread italiani e spagnoli salirebbero abbondantemente sopra i 500 punti, rendendo il debito molto meno sostenibile. Questo lo scenario, senza nemmeno approfondire l’allarme apocalittico lanciato dall’agenzia di rating Standard & Poor’s che paventa il pericolo della «tempesta perfetta» sui mercati finanziari: nel suo orizzonte a 5 anni prevede un bisogno astronomico di denaro, tra 43 mila e 46 mila miliardi di dollari, per riequilibrare Stati, istituzioni finanziarie e non solo.
Banchieri, manager, politici, speculatori tentano dunque di immaginare scenari, ipotizzare cosa potrebbe accadere dopo l’uscita di Atene, studiare soluzioni alla crisi europea del debito: George Soros, magnate e finanziere che affondò la sterlina (e la lira), offre qualche speranza nel suo ultimo lavoro «La crisi globale» (Hoepli). Speranza che sopravvive — a suo giudizio — purché venga spezzata la spirale costruita da rigore dei bilanci pubblici e politica recessiva, calo dei consumi e della produzione, minori incassi fiscali e peggioramento del rapporto deficit-Pil che innescherebbe un nuovo scatto a testa in giù.
Fuori dalla porta rimane un ulteriore incubo nell’era della turbolenza finanziaria senza fine: il crac della Grecia può innescare il rimborso dei cds — le «polizze» contro le insolvenze di imprese, società e Stati — che valgono 28 mila miliardi di dollari e rischiano di mandare al collasso le banche e le assicurazioni che dovrebbero rimborsarli. C’è dunque da augurarsi che la revisione di parte della politica economica europea non abbia i ritardi e la scarsa consistenza degli ultimi due anni di vertici della Ue: il sentiment dei mercati potrebbe trasformarsi e diventare positivo, rapidamente, se le Borse percepissero qualche svolta proficua nel sostegno alla crescita del vecchio continente attraverso due parole magiche: eurobond o project bond. Legati anche alla batosta della Cancelliera tedesca.
Ieri sera un primo passo, con il via libera allo studio di un «fondo di redenzione» che garantirebbe collettivamente l’eccesso di debito di ogni singolo paese: ma l’eurogruppo dovrebbe correre con l’approvazione, per rimanere fermo nella competizione finanziaria globale.