Mario Draghi dovrà regalarci un altro miracolo: convincere i banchieri del nord Europa ad intervenire sul mercato dei cambi. Dopo aver vinto il braccio di ferro sui meccanismi salva-Stati a difesa delle nazioni a rischio di insolvenza, il presidente della Banca centrale europea ora si ritrova con una nuova grana globale: le potenze economiche mondiali inseguono le svalutazioni competitive delle proprie valute, per favorire le esportazioni e sostenere il sistema produttivo.

E’ la guerra del XXI secolo, che ha preso il posto delle vecchie politiche dei dazi doganali. Un dollaro più debole permette alle aziende a stelle e strisce di penetrare con più facili sui mercati, al di là dell’intrinseco valore delle produzioni. Un euro più forte rischia di tarpare le ali al made in Europa: in pochi mesi la moneta unica si è rivalutata del 5% sul biglietto verde e ora gli analisti indicano un ulteriore apprezzamento dell’8% nel 2013. Stima complicata, previsione incerta. Sicura è invece la strategia dell’americana Federal Reserve, che a parole sostiene la politica del dollaro forte ma agisce in senso contrario. Come gli Stati Uniti, il Regno Unito e ora anche il Giappone del nuovo premier: Abe ha inaugurato un programma di interventi particolarmente aggressivo, che ha portato al crollo dello yen nell’immenso mercato delle valute: risultato? Presto le auto giapponesi (gli apparecchi fotografici o i tv), potrebbero costare meno.

L’euro forte, disegnato e perseguito dai banchieri soprattutto tedeschi sul modello del supermarco, rischia dunque di essere un una palla al piede delle imprese europee e un macigno sulle speranze della già asfittica ripresa del vecchio continente. Unica eccezione assieme all’Europa – ma per ragioni opposte – la Cina degli ultimi mesi, che sta lasciando apprezzare lo yuan come mai aveva fatto nel corso degli anni: ma l’economia del paese continua a volare su una ricchezza prodotta sempre superiore al 7% di incremento all’anno e di aumenti salariali del 20% in pochi mesi. E le ambizioni egemoni sono evidenti: in estremo oriente Sud Corea, Indonesia, Malaysia, Singapore e Thailandia hanno adottato lo yuan cinese come valuta di riferimento solo Hong Kong, Vietnam e Mongolia sono rimaste fedeli al dollaro. Non solo: la Cina ha iniziato da qualche mese a pagare il petrolio russo in yuan, e altri paesi stanno seguendo l’esempio. Una rivoluzione.