Cassazione, primo agosto 2013. Bce, 5 agosto 2011: un mese con il marchio di fuoco per il Cavaliere. E un mese di incubi per l’Italia. Giovedì la sentenza della Cassazione ha segnato la conclusione della sua carriera in Parlamento, solo due anni fa la lettera ultimatum sul risanamento dei conti pubblici che l’allora premier Berlusconi e il suo super-ministro dell’Economia Tremonti ricevettero dalla Banca centrale europea. Un fatto senza precedenti quello di allora, un “golpe post-moderno” per stare al giudizio dell’ex ministro. Una violenza inaudita, un golpe giudiziario quello dell’altro ieri se si resta agli umori del Pdl. Tra quelle due date l’inizio della fine del Berlusconi IV, sessantesimo esecutivo della Repubblica poi caduto nel novembre 2011, e ora l’addio al Berlusconi parlamentare.

In mezzo sono  scivolati via 250 punti di spread e 24 mesi che hanno segnato la vita degli italiani con un centinaio di miliardi di correzioni adottate per stabilizzare il Paese e una decina di riforme di belle speranze: eppure la ripresa è ancora all’orizzonte, prevista dalla Ue per il secondo trimestre 2012 e via via slittata fino al quarto trimestre di quest’anno. L’Italia dell’ultimo biennio paga un progetto politico sempre precario e la stretta sul credito alle imprese. Soffre la caduta della ricchezza prodotta e si dispera nell’aumento della disoccupazione. A sorpresa, un lumicino di speranza si è intravisto nel listino principale di Piazza Affari, cresciuto all’incirca del 20% nell’ultimo anno:  “I mercati anticipano l’andamento futuro dell’economia, il peggio è alle spalle” azzardano gli operatori finanziari più ottimisti.

Due anni durante i quali la determinazione di Mario Draghi è stata decisiva: alla guida della Bce ha rifinanziato con mille miliardi il sistema economico del vecchio continente: una svolta. Ha fermato nel luglio dell’anno scorso l’onda più speculativa dei mercati con la frase che risuonerà a lungo: “La Bce è pronta a fare qualunque cosa per preservare l’euro e, credetemi, questo basterà”.  E ha ingaggiato scontri epici con i rigoristi tedeschi, imponendo il tema della crescita accanto a quello dell’austerità. Ma in quei 24 mesi è arrivato anche il fallimento tecnico della Grecia, strozzata dai diktat della troika (Fondo Monetario, Bce, Unione Europea) che ora torna potrebbe stagliarsi sull’orizzonte italiano – lo rivelano come un brutto sogno democratici e centristi – se i contraccolpi politici del verdetto della Cassazione dovessero far crollare il governo.

Perché quel messaggio del 5 agosto 2011 imponeva compiti precisi non solo sui vincoli di bilancio: chiedeva all’Italia di allungare l’età pensionabile, tagliare gli stipendi statali, riformare il mercato del lavoro, privatizzare e liberalizzare. Abolire enti inutili e Province. Vendere parte del patrimonio.

L’obiettivo centrato nei 24 mesi dai tre governi (Berlusconi, Monti e Letta negli ultimi mesi) è finora stato quello più indigesto, il (precario) contenimento del rapporto tra deficit e Pil raggiunto grazie a molte tasse e accise sproporzionate, ma con poca spending review e tagli ridicoli agli apparati dello Stato. Tutto il resto è nel libro delle buone intenzioni. Le liberalizzazioni rimangono marginali. Privatizzazioni e dimissioni restano in alto mare, pur con la promessa del premier Letta di approvare un piano entro ottobre, se mai ci arriverà. La riforma delle pensioni non convince più, idem quella del lavoro: due normative giovani, con meno di due anni di vita, ma già bisognose di manutenzioni come villaggi turistici fuori moda.

La vera nota positiva tra le due surriscaldate estati arriva dal pagamento di parte dei debiti della pubblica amministrazione, che resta un dovere per uno Stato che salda le sue fatture in 170 giorni, contro i 61 della media europea. Era ora. E sarebbe ora anche di risolvere il rompicapo fiscale (Imu, Iva, Tares, riordino dell’Irpef) che è stato per mesi al centro del tavolo economico dell’insolita e litigiosa maggioranza Pd, Pdl, Scelta civica: riusciranno i piccoli passi di Letta a offrire una prospettiva meno effimera alla speranza degli italiani di uscire dalla crisi? Sarà capace la sgangherata politica di casa nostra di evitare gli smottamenti post-sentenza e di scongiurare (come nel 2011) l’abbraccio mai gradevole della troika?