Una settantina di città americane snobbano il re dollaro e usano valute locali per fare affari, regolare i conti, pagare i debiti. In Inghilterra coloratissime banconote che ricordano quelle del Monopoli distinguono le Bristol Pound, le sterline auto-coniate dalla città capoluogo dell’omonima contea. Sistemi di scambio locale sono diffusi in Francia, Svizzera, Belgio, Olanda, Spagna, Germania, Giappone: sono cinquemila al mondo. Ed esistono anche in Italia, dove si espandono lo Scec e il Sardex, o si sbandierano come promesse elettorali il Nuovo Fiorino di Parma del sindaco grillino Pizzarotti e il Lumbard del governatore Roberto Maroni.

La storia si ripete. Come nel 1929 con la grande depressione, o negli anni Settanta con lo choc petrolifero, l’era della turbolenza dei mercati finanziari e della guerra valutaria globalizzata ha portato con sé il proliferare di nuove monete, tra utopia e folklore. E con qualche inquietudine di natura fiscale. Servono a scambiare beni, servizi, lavoro, a ripararsi dall’asfissia del credito  bancario.

L’esempio forse più significativo è americano e porta il nome di Ithaca hours: è una banconota, chiamiamola così, il cui valore corrisponde a un’ora di lavoro. Insomma dieci dollari: cittadini e imprese si scambiano anche così i loro servizi e i prodotti all’interno delle comunità. Senza dollari.

Secondo uno studio universitario a stelle e strisce le valute complementari si diffonderebbero soprattutto all’interno dei quartieri con popolazioni giovani e povere, flagellate dalla disoccupazione, dove il baratto torna ad essere una forma non disdegnata di scambio commerciale: un’occhiata al web testimonierà l’invasione di permute e di stravaganti occasioni. Borse e pesche, pasta e cellulari, libri e idraulici, spille e coperte.

Ma l’esperienza dei 550 mila abitanti di Bristol racconta molto di più, testimonia la nascita di una “moneta locale su larga scala”, funzionante, comodo, utilizzabile in centinaia di esercizi. Nella patria degli gnomi, la Svizzera, funziona la valuta Wir che raccoglie 70 mila aderenti e nacque nel 1934 quando c’erano molte merci e poco denaro: così lo scambio tra lavoro, prodotti e servizi divenne più semplice. E lo è tuttora.

L’Italia ha una ricca memoria storica delle monete locali: poco meno di quarant’anni fa i mini-assegni invasero che il Belpaese e riempirono di carta i portafogli degli italiani, a metà degli anni Settanta, quando 33 banche fecero circolare un paio di centinaia di miliardi delle vecchie lirette in fogliettini di carta (da 50 a 350 lire) in sostituzione degli spiccioli carenti per la politica di lotta all’inflazione. Fu un escamotage e un grande affare, molti di quei pezzetti di carta non ressero all’usura e vennero distrutti, dunque non rimborsati.

Difficile intuire quale sarà il futuro delle “emissioni” alternative odierne, che navigano come scialuppe di salvataggio tra le secche della liquidità dell’euro: il Sardex è scambiato tra 1.300 attività della Sardegna, si sta espandendo in Sicilia e Piemonte. Non è convertibile in denaro, ma solo in prodotti e servizi. E la Regione a cui si ispira il nome ipotizza un fondo di garanzia in suo sostegno.

I buoni locali Scec (Solidarità ChE Cammina) sono invece sono forme di riduzione di prezzo (tra 10 e 30%) che le attività associate si riconoscono in mezza Italia: un “arcipelago” costituito a Napoli, rafforzato da “valute” complementari quali l’Ecoroma della capitale. dal Kro calabro, il Thyrys di Terni e il Tau Toscano. Insomma, micro-esperimenti che molti economisti vorrebbero mantenere limitati per lasciarli ai margini del labirinto delle leggi (anche fiscali) e delle tentazioni: Bitcoin, la prima moneta digitale del mondo e fratello molto maggiore delle valute locali, ha fatto boom di adesioni ed è finita sotto le lenti di Bce, Federal Reserve e Tesoro americano, che l’ha sottoposta a verifiche antiriciclaggio per chiarire la natura delle operazioni, poco trasparenti. La moneta virtuale può essere un bel sogno o trasformarsi in un’immensa truffa.

 

 

FANTACCI (BOCCONI): NON E’ ELUSIONE 

Il tema delle valute complementari insinua un primo dubbio: le transazioni fuori dal circuito ufficiale non implicano problemi di natura fiscale e contributiva?

“Le transazioni in moneta complementare non devono essere considerate fuori dal circuito ufficiale in termini fiscali e contributivi” spiega Luca Fantacci, 42 anni a novembre, docente alla Bocconi. “Un pagamento può anche essere effettuato, in tutto o in parte, in moneta complementare, ma la fattura sarà emessa in euro e le imposte saranno calcolate e pagate regolarmente sull’intero importo. La moneta complementare non è uno strumento di elusione fiscale. I vantaggi sono altri, a cominciare dal sostegno all’economia reale”.

Cosa vuol dire cancellare la finanza e tornare a una economia reale? Utopia o scenario possibile? Con quali tappe?

“Utopistica è la finanza che si è imposta negli ultimi decenni e che ha perso ogni contatto con l’economia reale. Non si tratta di cancellare la finanza, ma di riformarla, in modo che torni a essere uno strumento a servizio degli scambi e della produzione. Serve una riforma del sistema monetario internazionale. Ma nel frattempo si può iniziare anche dal basso, con le monete complementari locali”.

Lei indica tre regole per il buon funzionamento delle valute complementari: le può riassumere?

“Innanzi tutto, una buona moneta complementare non ambisce a sostituire ma ad affiancare la moneta ufficiale all’interno di un particolare territorio. In secondo luogo, è emessa in misura adeguata all’esigenza degli scambi locali: non è troppa né troppo poca. Da ultimo, deve essere fatta in maniera tale da circolare continuamente e non essere accumulata. La tendenza della moneta a ristagnare è, infatti, una delle cause principali della crisi”.

Wir, Ithaca, Bristol Pound:  qual è il  “laboratorio” più interessante? Tra le 5 mila monete locali qualcuna è particolarmente significativa?

“Non esistono stime accurate delle monete complementari che sono proliferate soprattutto negli ultimi anni, anche sotto la spinta della crisi. Sono molte e molto varie. Per la verità, si tratta perlopiù di esperimenti marginali, folcloristici, e talvolta anche controproducenti, a dispetto delle buone intenzioni. L’esperienza più significativa è certamente quella di WIR, una banca cooperativa sorta a Basilea durante la crisi degli anni ’30 che oggi offre un servizio di compensazione in moneta complementare a circa 60.000 piccole e medie imprese svizzere, consentendo loro di finanziarsi a tassi molto bassi e stabili, intorno all’1%”.

In Italia quale esperienza le pare più significativa?

“Nel 2010, sul modello di WIR, è stata creata Sardex, una camera di compensazione regionale che oggi comprende più di mille imprese in tutta la Sardegna e finanzia transazioni per oltre 1.300.000 euro al mese. Sulla scorta di questo successo, il modello Sardex si sta replicando in altre regioni, con l’obiettivo di coinvolgere anche le amministrazioni pubbliche e i lavoratori”.

 

 

 

LITTERA (Sardex): MONETA VIRTUALE CON 1.300 AZIENDE

Sardex,  in onore della terra madre. Un circuito di moneta virtuale nato nell’isola dall’intuizione di quattro ragazzi e ora in espansione nell’intera Italia. Come funziona e con quali risultati?

Sardex.net è un circuito al quale aderiscono, su base volontaria, imprese, professionisti e dipendenti di queste” spiega Giuseppe Littera, presidente del consorzio e uno dei fondatori. “Ogni partecipante ha strumenti e servizi utili a comprare e vendere nel mercato del circuito, le imprese possono anche disporre di una linea di credito sulla quale non vi sono interessi. Il circuito funziona come una camera di compensazione di debiti e crediti. Il risultato è un insieme di soggetti che si sostengono a vicenda senza interessi e movimentano beni e servizi per quasi 2 milioni di euro al mese facendo a meno del denaro e del credito tradizionale”.

Quante aziende aderiscono?

“Circa 1300, dall’ingrosso al dettaglio, dalla produzione agricola o industriale fino ai servizi alle imprese e alle persone. Sono diversi anche i partecipanti del mondo dell’associazionismo, del non profit e dello sport”.

 Progetti e sogni?

“Allargare la base degli aderenti includendo i cittadini e consumatori che vogliano unire la loro forza per costruire una rete di sostegno ancora più forte e significativa”.

Come nacque l’idea di una moneta complementare?

“Un gruppo di persone ragionò a lungo dei temi del denaro e del credito. Da quelle discussioni nel 2009 si è concretizzata l’idea che poi abbiamo trasformato in progetto e realizzato in questi anni”.

 Cosa le pare particolarmente significativo di questa esperienza?

“Ci sarebbero migliaia di esempi: sono stati in tanti a chiederci se potessimo svolgere la stessa attività, quella di gestire un circuito di imprese, ma utilizzando gli euro veri. Questo per far capire quanto possa essere apprezzato nel suo complesso il servizio. Zero interessi, zero commissioni, nessuna dilazione dei pagamenti, in generale un mercato virtuoso”.

Quali sono i principali pericoli?

“Non parlerei di pericoli, piuttosto di limiti. Il circuito oggi è in condizione di rappresentare uno spazio in cui le imprese e i professionisti possono fare fino ad un 20% del loro volume d’affari. Bisogna saper rimanere equilibrati, i Sardex non nascono per essere accumulati ma per circolare”.