Sergio Marchionne è il re di denari 2014. Ha portato soldi e soddisfazioni a Fiat-Chrysler, ai suoi azionisti e pure a se stesso che ha in cassaforte un pacchetto consistente di quote italo-americane: con una strategia finanziaria aggressiva e geniale ha strappato un rialzo del 61,5% del titolo, il migliore tra quelli a maggiore capitalizzazione di Borsa italiana. Ora è atteso al varco con i nuovi modelli di auto.

Dietro di lui la nuova Finmeccanica (all’incirca +40%) di Mauro Moretti e Intesa Sanpaolo ( sopra il 35%)di Carlo Messina, che ha conquistato anche il podio delle migliori cinquanta società dell’Eurostoxx. Assicurazioni Generali vivacchia nonostante abbia al vertice uno dei migliori manager italiani, Telecom Italia reagisce agli anni bui, Enel va per la maggiore tra le utility del vecchio continente. Nella coda meno nobile della classifica le aziende del lusso, indebolite dalla campagna di Russia, assieme a un paio di eccezioni: il Monte dei Paschi di Siena in difficoltà perenne, e Saipem e Tenaris, cadute sotto il peso del crollo del petrolio.

Tra il massimo guadagno di Fca e la perdita peggiore di Mps, l’indice delle quaranta società a più consistente capitalizzazione, il Ftse Mib italiano, ha galleggiato sulle quotazioni di inizio anno (18.929) chiudendo con un deludente incremento di mezzo punto percentuale poco sopra i 19 mila punti.  Nonostante le speranze fiorite anche nel mondo cinico della finanza con l’ascesa di Matteo Renzi alla guida del Paese: le sue promesse di riforme strutturali, una al mese, avevano messo le ali ai listini milanesi che in primavera svettavano per incrementi su quelli europei. Un bel ritmo fino al massimo splendore (si fa per dire) dei 22.503 punti di giugno, all’indomani del successo elettorale del giovane premier. Poi la lenta discesa e il ritorno all’area di partenza, in un’altalena già conosciuta con i governi Letta e Monti: le ambizioni e le grandi speranze dell’economia tricolore si sono inesorabilmente scontrate con la realtà di immobilismo e scarsa efficienza. Come riflesso, la spinta finanziaria delle imprese italiane ha sbattuto contro la barriera invisibile ma terribilmente concreta dei 22.500 punti, impedendo un riscatto degno di questo nome di Borsa italiana. Solo i titoli di Stato possono brindare a fine anno, grazie alla Bce di Mario Draghi. Non è poco, ma non basta. Il listino milanese continua a languire attorno alla metà del livello pre-crisi raggiunto nel maggio 2007, quando toccava i 44.364 punti.

Negli stessi mesi  Francoforte ha toccato i massimi storici, il Dow Jones è salito del 30 per cento da quella data e troneggia attorno ai 18 mila punti, con un’accelerazione di poco inferiore al 300% dall’abisso della crisi sub-prime. E Wells Fargo, super-banca yankee specializzata proprio nei mutui immobiliari portatori della crisi del 2008, ha incassato in soli sei anni il record storico per un’istituzione finanziaria Usa, con un balzo a 285,5 miliardi di dollari di valore di mercato, grazie alla locomotiva americana che corre, alla banca centrale che stampa, alla fiducia nel futuro che cresce.

Per l’anno alle porte la maggior parte degli analisti, pur guardinghi e divisi, continua a preferire gli investimenti in dollari e a temere l’inconcludenza europea: l’anno scorso puntò sull’azionario del vecchio continente. E sbagliò (con il senno di poi…). Sarà il contrario nel 2015? Oggi, forse a torto, gli “esperti” sembrano stimare più pericoli che benefici dal precipitare del prezzo del petrolio: si ricrederanno? Confidano in Mario Draghi come templare della stabilità dei titoli di Stato anche dell’Europa periferica e meno virtuosa, guardano con il terrore del contagio greco a Italia e Portogallo, pure a Spagna e Francia. Ma c’è chi scommette anche sull’agognato riscatto del listino tricolore e su Renzi uomo dell’anno 2015. D’altra parte, più di uno si diletta con investimenti eccentrici e marginali: dall’arte dei collezionisti-speculatori che vale ormai due miliardi di dollari nelle sole aste anglosassoni, alla maestria dei vignaioli made in Italy che brinda ai 2.456,68 dollari raggiunti per una bottiglia di Barolo Monfortino. Per loro il 2014 è stato un lungo cin cin.