Occhiaie profonde, sorriso tirato ma soddisfatto: Mario Draghi si è presentato alla conferenza di Francoforte, con cui ha spiegato le decisioni di politica monetaria della Banca centrale europea, con l’aria stanca ma l’atteggiamento sicuro di chi ha compiuto il proprio dovere. Non gli è mancato nemmeno un pizzico d’ironia nell’anticipare le domande sugli orientamenti conflittuali nel direttorio appena concluso: “Siamo in leggero ritardo però non pensate male, è stato solo un problema di ascensori”.

Il programma del presidente Bce assomiglia molto al tanto atteso bazooka contro la deflazione, il piano di acquisti di asset è infatti superiore alle stesse aspettative degli operatori: da marzo Eurotower comprerà titoli pubblici e privati per 60 miliardi al mese fino alla fine settembre 2016, più di quanto si pensava che Draghi riuscisse a strappare ai banchieri rigoristi del Nord Europa. Ai quali ha concesso di limitare il rischio della Bce al 20% dei bond acquistati, mentre il rimanente 80% è garantito dalle banche centrali dei singoli paesi. Non è comunque poco.

Il presidente ha spiegato con chiarezza gli obiettivi di Francoforte: stimolare gli investimenti e la crescita con l’immissione sui mercati finanziari di 1.080 miliardi di euro in 18 mesi, in un vecchio continente in cui il rallentamento economico resta forte e preoccupante. Sostituendo una parte degli asset delle banche con denaro fresco, la Bce pressa gli istituti di credito perché concedano maggiori prestiti a famiglie e imprese. Senza nascondersi il dubbio di fondo: se non torna la fiducia nella crescita ogni politica monetaria si rivelerà insufficiente. E perché torni la fiducia delle persone e nelle aziende sono indispensabili le riforme strutturali da parte degli Stati.

Con la consueta retorica Draghi ha precisato come il quatitative easing sia stato “legalizzato” come strumento di politica monetaria dal consenso unanime del board, mettendo a segno un bel risultato nei confronti delle contestazioni tedesche. Ha fissato i paletti: acquisti non superiori al 25% per emissione e non superiori al 33% del debito di ciascun emittente, proporzionali alle quote che ciascuna banca centrale detiene nel capitale della Bce. Quindi il 18% dei titoli di Stato acquisiti sarà tedesco, il 14% francese, il 12,3% italiano e così via. Rating minimo quello dell’investment grade, che escluderebbe la Grecia. Ma anche sul terreno minato di Atene, il presidente Bce si è mosso con abilità: non ha concesso alcuna eccezione, accontentando i falchi dell’ortodossia monetaria, nonostante abbia ricordato come il programma di assistenza della Toika (Ue, Fmi, Bce) consenta la deroga. “Ogni termine del comunicato – ha scandito perentorio – è stato scelto con attenzione”. Nel dilemma ellenico, la parola passa al Partenone e ai vincitori delle elezioni di domenica.