Traditi, in ogni caso. Dal governo greco o dall’Europa, dipende dalla sponda politica di appartenenza e da quanto dura è stata la stangata dell’austerity sulla propria pelle. Due piazze traboccanti di gente si sono confrontate ad Atene nel venerdì del referendum, a poche ore dalla consultazione che oggi chiederà a 8 milioni di greci di esprimersi sull’accordo con la Troika e, in definitiva, sul futuro della Grecia dentro l’euro e dentro l’Europa. Molti temevano tensioni e scontri, ma con una sola eccezione quasi tutto è filato liscio in una capitale blindata dalla polizia, coloratissima, tappezzata di manifesti spesso con la faccia del ministro delle finanze Schaeuble (anche con baffi alla Hitler) e la scritta: ” Ti ha succhiato il sangue per cinque anni, ora digli di no”.

Da una parte il premier Tsipras e i suoi nella simbolica piazza Syntagma, tra “Bella ciao”, gli spagnoli di Podemos e sonori buuuu verso il governo della citatissima Angela Merkel. Dall’altra, nello storico stadio Panathinaikos, l’Inno alla gioia e i moderati dell’ex premier Samaras, per nulla moderati negli strali al governo colpevole, a loro dire, di aver vanificato gli sforzi di riscatto e la ripresa che si era affacciata nel paese lo scorso anno. “Tsipras ci ha rovinati, se resta moriremo in povertà” strillava una energica ragazza del sì al referendum. Nel fiume di retorica scivolata tra la gente dai palchi contrapposti del comizi, Atene ha comunque mostrato il volto civile di chi vuol confrontarsi sul proprio futuro, con molti pendolari tra un comizio e l’altro. Incerti. E qualche attimo di tensione: “Cacciamo Tsipras e Varoufakis” protesta Elias M. deciso a mostrare il suo sì al referendum anche nella piazza del parlamento. “Taci, il nostro premier non c’entra. E’ un’Europa indegna quella che ha affamato e umiliato il popolo greco” controbatte a muso duro Iosif, giovane impiegato senza più lavoro né denaro. C’è molta gente, gli animi si accendono, volano parole grosse. Rissa sfiorata, ma nulla di più. Poco distante, la polizia si scontrava con qualche centinaio di facinorosi.
Dopo l’ennesima settimana di passione con intese annunciate e repentini dietrofront, con i mercati finanziari sulle montagne russe e previsioni funeree sul domani del Parteneone, proprio alla vigilia del voto é piombata, a surriscaldare gli animi, l’indiscrezione azzardata dal Financial Times, che ha raccontato un piano strategico delle banche greche a corto di liquidità: stima un prelievo forzoso almeno del trenta per cento sui conti correnti superiori agli ottomila euro, insomma anche sugli ultimi risparmi non falciati dalla crisi. Una stangata. Il ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, si è affrettato a smentire. E a contrattaccare, chiosando il “terrorismo” informativo dei poteri “forti europei” che terrebbero sotto tiro il suo paese alla vigilia del voto: “L’articolo del Financial Times su un possibile prelievo forzoso dei conti si basa su voci maliziose che l’Associazione delle Banche Greche ha già smentito”.
Le posizioni sono sempre più esacerbate, a conclusione di sei mesi tormentati da trattative tortuose e inutili che hanno portato alla sorpresa del referendum. Mentre la Grecia affonda di nuovo in recessione: dalle stime di crescita del 2,5% della ricchezza prodotta dal paese, elaborate la scorsa estate, al baratro di un crollo del tre per cento ipotizzato in questi giorni. Il Fondo monetario internazionale prevede inoltre che possa aver bisogno di altri 50 miliardi di aiuti per sopravvivere nei prossimi tre anni, mentre le agenzie di rating vedono nero, cioè il fallimento di Atene e un più rilevante pericolo di contagio per le economie più deboli della Unione Europea.
È difficile intuire quanto le banche elleniche, con un solo miliardo di euro in cassa, potranno resistere all’assalto dei correntisti, pur contingentati ai 60 euro giornalieri o i 120 settimanali per chi é senza bancomat: fino a lunedì o martedì, ma certo non una sola ora senza gli aiuti di emergenza della Bce di Mario Draghi.
Nelle strade bruciate dai quaranta gradi del sole della capitale evaporano anche i buoni propositi e si moltiplicano le urla contro il premier Alexis Tsipras, giudicato con rabbia per le promesse mancate e gli obiettivi falliti. “Avevo creduto in lui e, come me, anche molti che non sopportano i comunisti: ci aveva ridato fiducia e speranza ma la sua battaglia si è rivelata inutile e perdente, addirittura dannosa” accusa Damian T, che fa il commerciante nello storico mercato di Varvakeios ma non rinuncia a manifestare la propria delusione. Proprio lui aveva confidato, era il 16 febbraio scorso, di aver votato Syriza e aver sostenuto il suo premier nella speranza che potesse far breccia nell’argine del rigore e nella diffidenza nordica che circonda la Grecia nei palazzi della Troika (qui mai diventata Brussels group).
“Ho paura, se usciremo dall’Europa sarà la fine” confessa Fotini Kourdakis, pensionata minuta e timorosa, occhi lucidi e sandali francescani. “Non c’è rispetto, la Germania e anche voi italiani ci avete affondato” sbotta Markos Farantouri, uno dei tanti venditori di biglietti della lotteria che porta sulle spalle tre figli, la moglie disoccupata e il peso di un licenziamento per il crac dell’azienda dove lavorava. La sua maglietta rossa si è arresa ai troppi anni di sole ateniese. “Nessuna nazione può reggere tanti disoccupati, pensionati e nullafacenti dell’amministrazione pubblica come abbiamo noi” s’inalbera Paris, medico che riesce ancora a cavarsela. “Il problema è l’incapacità dei nostri politici, meglio restare sotto l’ombrello europeo”.
In pochi anni sotto il Partenone si è perso un quarto della ricchezza prodotta, la metà dei ragazzi è senza lavoro, è tornata alta la mortalità infantile, i casi di suicidio sono aumentati del 30 per cento. Cresce la prostituzione. Le code alle mense umanitarie s’infittiscono di giorno in giorno, con il 18% dei greci che non riesce a permettersi un pasto al giorno. Troppe persone rovistano nei cassonetti del pattume per mangiare. In piazza Ermou, cinque minuti a piedi da piazza Syntagma, i volontari della Ong Boroume distribuiscono cibo che riescono ad ottenere dai supermercati (prodotti vicini alla scadenza), da hotel e ristoranti di lusso: più di un milione di pasti, lo scorso anno. Stelios fa il volontario, ha 24 anni ed è cameriere con baby salario da 520 euro al mese. Non perde il buon umore e canticchia una canzoncina tutta ironia, e irripetibile, su Merkel, Junker e Draghi.
La Grecia è dunque di nuovo di fronte a uno storico bivio e mostrerà oggi quanto le rimane del sogno dell’Europa comunitaria, unita, prospera e solidale. “No all’Europa della Troika, sì all’Europa dei popoli” gridava l’altra sera piazza Syntagma, rivendicando più sostegno a una nazione che ha barato con il bilancio dello Stato, ma che non può con il suo modesto Pil mettere in difficoltà un intero continente. E ricordando come il debito iniziale del Partenone, poco più di 100 miliardi nel 2009, fosse meno del 10 per cento delle risorse mobilitate per il salvataggio delle banche del vecchio continente colpite dalla crisi americana dei subprime.
Fino all’ultimo un po’ tutti avevano confidato in una intesa onorevole con i creditori internazionali, malgrado le incomprensioni, gli sbuffi megalomani, le accuse reciproche fino agli insulti. Anche perché le differenze sembravano ormai solo dettagli. E in fin dei conti, nell’aggiustamento del bilancio dello Stato, tra il 2009 e il 2014, la Grecia ha ottenuto risultati migliori degli altri paesi europei sottoposti a programma di aiuti della Troika: il riallineamento dell’avanzo primario ellenico è stato di 11,2 punti, l’Irlanda si è bloccata a 10, il Portogallo a 7,9 e la Spagna a 6,5. Ma al tavolo delle trattative i numeri sono stati altri, le sensibilità pure. A volte la storia sembra fermarsi sulle umane debolezze, che portano considerazioni amare nella terra di Platone e Aristotele: “Siamo un paese senza speranza, dal quale un giovane può solo fuggire”.