Roszke (Ungheria)

“Acqua –implorano – per favore, acqua”. Il loro sogno di rifugiati avvilisce sotto le tende ungheresi nel campo di accoglienza, a qualche centinaio di metri dal confine serbo. Trentacinque gradi all’ombra del mezzogiorno, senza nulla da bere, senza mangiare. Sono rinchiusi da giorni, con le speranze a languire e la tensione alle stelle dopo il caos nella stazione Keleti di Budapest, 150 chilometri più a nord. “Là dentro non ci voglio andare” protesta Asus, trent’anni, commerciante a Damasco prima che la guerra si portasse via i genitori, il negozio e molti amici. “Ti tengono come bestie, ti marchiano prendendoti le impronte e magari ti rispediscono nell’inferno dal quale siamo fuggiti”. E lui nell’inferno siriano proprio non vuole tornare dopo tre mesi di viaggio, mille tormenti e migliaia di chilometri a piedi, su barconi, bus, taxi abusivi e sgangherati. Adesso è finalmente quassù, dove una lunga muraglia di filo spinato divide i Balcani tra i cittadini europei e l’umanità dolente dei profughi. Ma l’odissea è tutt’altro che conclusa, come lui migliaia di migranti camminano lungo i binari di una linea ferroviaria ormai in disuso che porta da Horgos, in Serbia, a Roszke. È un esodo continuo, impressionante, commovente. Dopo tre chilometri c’è un varco nel “muro”, dove i profughi vengono attesi, fermati e portati a forza fino ai centri di accoglienza. La pressione è talmente dirompente da costringere i magiari, di tanto in tanto, a concedere brevi lascia passare collettivi: i fortunati, si fa per dire, possono così continuare il loro viaggio e raggiungere la capitale, con la speranza di arrivare poi in Germania. Ma lo squarcio nel muro è temporaneo, poi quell’imbuto tra i due paesi si richiude.

Mohamed è un insegnante di lettere iracheno, fugge con la moglie e tre bambine. Ha salvato una camicia per sé, pochi abiti per la famiglia e un orsacchiotto per la bimba più piccola. “Ormai ho speso quasi tutto – confida – la rotta verso l’Europa è organizzata da una specie di rete di tour-operators della migrazione, con agenti di viaggio che dicono di organizzarti il trasferimento, in realtà ti mangiano i soldi quando non ti derubano”. Cita Kierkegaard: “La vita va vissuta con lo sguardo in avanti”. E ora fa da solo, o meglio segue la marea di disperati che si infrange contro il confine blindato e contro l’incapacità tutta europea di trovare una soluzione, in questo caso alla tragedia umanitaria: il muro di Berlino, divenuto simbolo della crudeltà per il mondo libero, fece 125 vittime tra le persone che cercarono di fuggire. Il Mediterraneo di morti ne conta già 200 volte tanti. E l’Europa dei muri, già bucati da 310 mila migranti nel 2015, vuol difendere i suoi confini in Ungheria, Bulgaria, Spagna. Il Regno Unito delega la Francia alla protezione dell’euro-tunnel, Praga pensa all’esercito per presidiare le frontiere e intanto marchia con numeri i migranti di passaggio.

Asus è in viaggio con il figlio, al quale ha fatto credere che il gioco alla fine regalerà un premio. Amina porta con sé un piccino in grembo e una bimba di sei mesi, che non smette di piangere nonostante gli sforzi della madre. Nell’esodo biblico corrono i ragazzi che comunicano via Facebook gli spostamenti della polizia. Sfilano uomini con sguardi poco rassicuranti, donne velate, tantissimi bambini esposti a mille insidie ma coccolati e protetti. Famiglie con grandi speranze e solidali. Anziani tormentati dalle fatiche e dal tempo. Lungo i tre chilometri di binari che portano al varco traditore, traboccanti di spazzatura di ogni tipo, punteggiati di mini-accampamenti, crivellati dall’ansia che buca i cuori, si ritrovano anche ragazze serbe che vendono acqua minerale: 200 dinari per mezzo litro invece dei 40 in un bar o dei 25 in market. Molti comprano, perché la fuga verso l’Europa è fatta di bagagli leggeri, cose e oggetti anche cari si lasciano per strada perché troppo pesanti.

“ Il giorno è caldo ma la notte i bambini, senza coperte, soffrono il freddo” racconta Amed, informatico siriano. Accanto a lui, alla moglie e ai due figli, è in fuga anche il fratello poco più che ventenne, Ali, che sogna la Norvegia dove vive la sorella sposata. Lontano dalle guerre. Fa propositi: “Sarò un uomo migliore, tornerò a studiare. Troverò un lavoro dignitoso e farò sport. Tornerò a vivere”. È buio, lui non dà ascolto ai consigli del fratello maggiore e si aggrega a un gruppo di giovanissimi, tenta l’assalto al muro di filo spinato con la complicità della luna piena. La notte è fresca. Passano in sei, s’accendono i fari. L’illusione finisce nel campo di Roszke.

Video: Nell’imbuto dei Balcani