Si parla tanto, in questi giorni, dell’ex premier, Silvio Berlusconi. Se ne parlava prima, se ne parla ora, se ne parlerà ancora. Nessuna intenzione, da parte nostra, di entrare nel dettaglio di una vicenda della quale ognuno ha un’idea ben precisa. Una piccola precisazione, però, va comunque fatta per non generare confusione nella mente dei lettori. Di quanti oggi sfogliano i giornali e di quanti amano leggere i volumi di un personaggio straordinario qual è stato Giovannino Guareschi.

Questo non significa dimostrare che Guareschi fosse berlusconiano o antiberlusconiano. Due strade impossibili da percorrere per un motivo molto semplice: Giovannino ci ha lasciato nel luglio 1968. Monarchico per sua stessa ammissione, Giovannino non ebbe la possibilità di sperimentare le qualità del Berlusconi politico e premier. 

In questi giorni, però, Berlusconi, intervistato, dichiara: “Per quanto riguarda me, ricordo quanto disse di se stesso Giovannino Guareschi, anche lui condannato in via definitiva al carcere. Non muoio neanche se mi ammazzano”.

Vero che Giovannino Guareschi – basta spulciare i giornali di quegli anni – finisce in carcere nel 1954, dopo la querela dell’allora presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi e, vero anche, che Giovannino scrive (e non dice) “L’unica cosa divertente ai fini della nostra storia, è che io, anche in prigionia conservai la mia testardaggine di emiliano della Bassa: e così strinsi i denti e dissi: “Non muoio neanche se mi ammazzano!”. E non morii. Probabilmente non morii perché non mi ammazzarono: il fatto è che non morii”.

Frase più articolata e, soprattutto, comparsa nel volume “Diario Clandestino 1943-1945” e ben prima dell’esperienza in carcere per diffamazione. Un concetto riconducibile al periodo nel quale Giovannino sceglie di restare in Germania, in un campo di internamento (una prigionia sotto i tedeschi durata per quasi due anni, dal settembre 1943 in poi), perché non intendeva venir meno alla parola data (come militare) a sua maestà il Re, Vittorio Emanuele III.