Si chiude un’epoca a Milano. Si chiude un’epoca in casa Milan: quella di Adriano Galliani, il braccio destro (sportivo) per antonomasia di Silvio Berlusconi. Trionfi, successi e, ora, ne parlano tutti i giornali, lo ribadiscono tutte le televisioni, le dimissioni. Lascerà dopo la partita con l’Ajax, no, lascerà dopo il derby prenatalizio dicono altri.

Lui, l’ad più conosciuto degli ultimi trent’anni, chiede rispetto. “Sono d’accordo con i ricambi generazionali, ma fatti con eleganza”, dice Galliani. E’ proprio quest’ultimo aspetto che colpisce. Colpisce soprattutto chi, come noi, ha una discreta memoria e non cancella il passato il giorno dopo. Perché chi non conosce la propria storia – ne siamo convinti – non può avere futuro.

E allora, memoria storica alla mano, ci sembra – magari sbagliamo – che il Milan e quindi anche il suo amministratore delegato, non siano stati elegantissimi, negli ultimi tempi, con Ambrosini, il capitano che non avrebbe mai voluto lasciare. Con Andrea Pirlo, lasciato partire come ferro vecchio (inutile infierire, la ferita brucia ancora troppo) e con un certo Paolino Maldini, recordman di partite, di vittore di coppe dei Campioni e di scudetti in maglia rossonera. Su Paolino, per anni un simbolo, l’oblio subito dopo il ritiro

Eleganza, questa? Ecco perché, oltre a un pizzico di memoria storica, non bisognerebbe mai dimenticare, parlando, di essere coerenti con le proprie idee e i propri concetti.

L’eleganza e la memoria storica valgono per tutti, ricordiamolo.