Marco Belinelli è sempre stato un visionario. Nel senso che, già giovanissimo, aveva chiara la visione di quello che avrebbe potuto capitargli qualche anno più tardi. Perché Marco sapeva di avere tanto talento tra le mani ed era sicuro che, lavorando e lavorando, sarebbe arrivato lontano, lasciando l’Italia per la Nba. Ieri abbiamo trovato un ritaglio di giornale datato 10 gennaio 2013 quando, a 16 anni, Marchino parlava già di Stati Uniti. Si diceva tifoso dei Lakers e di Kobe Bryant. Ma gli archivi (dei giornali) sono fatti apposta per nascondere dei tesori. Per ritrovare, quasi per magìa, parole che sembravano perdute. Per testimoniare la personalità e i pensieri di chi viene intervistato.

Undici anni fa era rarissimo sentirsi dire “sono stato frainteso. Le parole che sono state riportate non mi appartengono”. Ma questa piccola digressione è un accenno di polemica che non ha nulla a che fare con quello che vogliamo raccontare. Anche perché il “nostro personaggio”, ovvero Marco Belinelli, è da sempre è stato abituato a dire quello che pensa. Con garbo, rispetto, ma senza un filo di ipocrisia. E allora ecco che, dall’archivio del Carlino salta fuori un’altra pagina, straordinaria,  del Belinelli visionario.

E’ il 12 agosto 2003. La Virtus Bologna, società nella quale Marco è cresciuto, è appena stata cancellata dalla geografia della pallacanestro italiana (vi dice nulla il nome di Marco Madrigali?). Marco è un diciassettenne che ha bruciato le tappe. Ha giocato talmente tante partite in serie A che la Virtus dovrebbe riconoscerli un contratto da professionista. Al minimo delle cifre, ma un contratto da pro, vero. Madrigali, che ha altri pensieri, non glielo fa firmare. E con la Virtus sparita il nostro diciassettenne è libero di accasarsi dove vuole. Legato a San Giovanni e a Bologna ed essendo ancora iscritto a scuola dove può andare Marco? Alla Fortitudo Bologna. Senza rinnegare, con la genuinità e la spontaneità dei suoi 17 anni, il suo percorso. E così, alla domanda, “il suo idolo, fino a ieri, era Ginobili. E adesso che fa, cambia?”.

Quale credete sia stata la risposta del Cinno di San Giovanni in Persiceto? “Perché, dovrei? Manu resta il migliore”.

Dieci anni dopo i due si sono ritrovati – e con un pizzico di fantasia possiamo dire che Marco già se lo sentiva una vita fa -, Manu ha guidato Belinelli nell’universo Spurs, raccontandogli, per filo e per segno, come muoversi nel Texas, nel regno di coach Pop. Marco non ha battuto ciglio e, a testa bassa, è andato a “lezione privata” da Manu.

Adesso sono lì, insieme, a provare a portare San Antonio sul tetto del mondo. Un italiano vero, Marco, uno di adozione, Manu. Potrebbe essere una bella storia da raccontare, ma la parola fine è ancora lontana. Anche se un altro capitolo di questo avvincente “romanzo” lo vivremo stanotte, collegati con l’At&t Center. Forza Marco