Marco Belinelli pochi mesi fa ha raggiunto un risultato eccezionale. Ha vinto il titolo Nba. Non solo: è stato il primo italiano a farlo. Un risultato eccezionale oltreché meritato, perché Marco, dal 2007, non si è mai risparmiato. Sempre al lavoro, sempre deciso, sempre determinato. Non si è mai arreso, non si è mai piegato alle critiche, né a quelle giuste (ci stanno) né a quelle ingiuste (che per altro continuano… Mah).
Marco ha vinto perché si è messo in testa di vincere. Marco ha vinto perché è stato capace di rinunciare a un bel pacchetto di milioni (un anno fa tanto Cleveland quanto Milwaukee gli offrivano di più) per andare in una squadra dove sapeva che avrebbe potuto trovare un feeling con il gruppo. In una società dove, con un po’ di fortuna, avrebbe anche potuto vincere il titolo.
E Marco, ovviamente, ha vinto.
Queste le ragioni di un successo che parte da lontano. Questi i motivi che ci spingono a pensare che, sempre con un po’ di fortuna, Marco potrebbe anche fare il bis. Certo, dipenderà dal rendimento di Tim Duncan che, in casa Spurs, forse è l’unico giocatore che non può essere sostituito. Intanto Marco sta facendo qualcosa di più per essere sempre più fondamentale. Sta passando l’estate ad allenarsi ancora più duramente.
In fondo, una volta vinto il titolo, Marco avrebbe potuto fare la cicala, vivere di rendita, o quasi, visto il successo eccezionale.
Invece, anziché dormire sugli allori, Marco s’è allenato il doppio. Prima a Miami, dove ha offerto un’immagine modello Rocky, spostando pesi, sudando e sgobbando. Poi oggi, a casa sua, a San Giovanni in Persiceto, chiamando in aiuto Marco Sanguettoli, il suo vecchio maestro. Lavora sulla tecnica, Marco, lavora sulla mano sinistra. Cerca di velocizzare il movimento dei piedi. Tanto lavoro perché all’inizio il suo impiego potrebbe anche essere sdoppiato. A San Antonio, almeno nei primi tempi, mancherà l’australiano Mills, infortunato. Marco potrebbe essere utilizzato anche come playmaker. Lavora Marco, perché potrebbe essere chiamato in causa anche in regìa…
Ma dicevamo, all’inizio, delle critiche giuste e ingiuste. Ne sono arrivate, ultimamente, perché non è andato in Nazionale. Alcuni critici sono andati oltre: accusandolo di non aver detto sì alla Nazionale dopo non aver giocato (?) nella Nba. I numeri sono sotto gli occhi di tutti: 102 partite, minutaggio corposo (fisiologicamente calato nei playoff, perché erano i suoi primi playoff da titolo).
La polemica avrebbe avuto un senso se il ct della Nazionale, Simone Pianigiani, si fosse lamentato. Ma il ct non ha detto una parola. Ma ha parlato, durante l’anno, con Marco. Tra i due c’è stima, rispetto, feeling. Pianigiani sapeva che la qualificazione agli Europei 2015 avrebbe potuto arrivare anche senza Beli. Che Beli, magari, farà comodo tra un anno, agli Europei. E, continuando a sognare, ai Giochi Olimpici.
A chi, non guarda tanto i numeri, segnaliamo non solo le cifre di Marco in questa stagione a San Antonio. Ma anche le sue partecipazioni in azzurro negli ultimi anni. Cifre, magari, da confrontare con quelli degli altri due ragazzi Nba, Andrea Bargnani e Danilo Gallinari (lasciamo da parte almeno per un attimo Datome). Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
In ogni caso buon lavoro Beli e complimenti per quello che ti sei meritato in questo anno da favola.