Ci eravamo lasciati con un paio di riflessioni su Raul Rivero. La prima, la più “amara”, legata agli sciagurati rilievi di gara-uno e gara-tre. Quando subentrato a partita nelle mani della Fortitudo (soprattutto la prima, 5-1 all’ultimo inning solo due eliminati da fare; la seconda sul 2-1, sempre all’ultimo inning, sempre in situazione di vantaggio dell’Aquila). La seconda al riscatto di gara-quattro: una partita riacciuffata per i capelli dalla Fortitudo, che era sotto, 6-0, dopo un paio di inning. Ma il riscatto, da solo, non bastava. Non solo perché, conti alla mano, si trattava di un segno positivo a fronte di due negativi, ma soprattutto perché, perdendo la prima gara (anche se lo sconfitto, per le statistiche, è risultato Manauris Baez), aveva dato un indirizzo preciso alla serie. Anziché una strada in discesa, la Fortitudo s’è trovata di fronte a una montagna da scalare. Raggiunta la parità, sul 3-3, grazie a un Williamson stellare (a un passo dalla completa senza punti al passivo), c’era la bella.
Marco Nanni, che era riuscito a preservare Rivero, grazie a Williamson è chiaro, non ha avuto dubbi. Dentro Raul. Come avrebbe reagito? Sarebbe stato quello straordinario (come rilievo) della stagione regolare o quello misteriosamente incerto di gara-uno e gara-tre?
Di più: come avrebbe reagito, Raul, utilizzato (andiamo a memoria) per la prima volta in questa stagione come partente? Raul ha reagito alla grande: nove riprese lanciate, una completa (roba rara in campionato, ancor più in Fortitudo dove, storicamente, si tende a preservare l’incolumità del lanciatore, scelta tutt’altro che sbagliata, visto che, toccando ferro, tutti i pitcher sono in salute). Due valide al passivo, nessun punto subito. La voglia, fin dal primo inning, di sparare fucilate. Strike uno dietro l’altro, senza paura, sfidando il battitore di turno. Solido anche quando un errore di Malengo (su una magìa straordinaria di Infante) poteva innervosirlo, per un uomo giunto salvo in base. Raul, l’Omone come lo chiamano a Bologna, non ha battuto ciglio. Un buffetto a Malengo dopo l’inning con errore (chiuso comunque in modo brillante), una fiducia incrollabile nella sua difesa e nei suoi mezzi. Così, alla fine, ha potuto indicare il cielo, concedersi all’applauso del Gianni Falchi e dare il via alla festa Fortitudo.
C’eravamo lasciati con le critiche a Rivero e un conto da saldare. Gli errori fanno parte della vita, sapersi riprendere la scena, dopo uno sbaglio, è qualcosa di più raro. Raul Rivero s’è ripreso la scena e ha regalato lo scudetto, che aveva fatto annusare a Rimini, alla sua Fortitudo. Conto saldato, scudetto assicurato verrebbe da dire ricorrendo a una sorta di slogan. Dopo la staffetta sbagliata di gara-uno e gara-tre Raul ha risposto presente nel momento più delicato di una stagione che la Fortitudo aveva dominato, dall’inizio alla fine. Con 17 successi su 20 nella stagione regolare, con 13 vittorie su 18 nei playoff. E con il 4 su 7 finale che ha dato alla Fortitudo e a Bologna lo scudetto più bello. Perché vincerlo in discesa sarebbe stato più comodo e indolore. Vincerlo così, in salita, sbuffando e sudando, vale di più. Grazie anche per la regìa di un film straordinario, Raul. E… alla prossima. Il presidente Michelini, in una calda notte d’agosto, scrutando il cielo, ha visto più di una stella. Pare essersi convinto che una di queste possa essere quella che significa decimo scudetto per la Fortitudo. Visto che siamo arrivati a nove, perché non cercare di accontentarlo? Alla prossima, Raul