Che ci fa Springsteen in un blog sportivo? L’obiezione è legittima. Il salvataggio in calcio d’angolo (è pur sempre un blog di sport) è che Springsteen, chi ha voluto la fortuna di vederlo dal vivo può testimoniarlo, è un atleta vero a 360 gradi. Uno che non si risparmia mai. Uno che corre per almeno tre ore sul palco. Uno che è capace di trasformare un concerto in una sorta di maratona.
Battute o salvataggi in calcio d’angolo a parte, oggi è il compleanno del Boss. Sì, questo il suo soprannome, Bruce compie 65 anni e resta un pezzo di storia della musica. Uno che, probabilmente, ha rivoluzionato la musica. Uno che, sicuramente, ha rivoluzionato il modo di intendere i concerti. E il fatto è che chi lo abbia visto almeno una volta, dal vivo, poi non può che restare insoddisfatto, o quasi, da qualsiasi altro artista. Anche il più bravo. Ma reggere il paragone con il Boss è dura, anzi, durissima.
Springsteen – a proposito, buon compleanno Bruce – è qualcosa di speciale. Uno del quale, per esempio, esiste una discografia sterminata. Facile oggi, con tutti i mezzi che la tecnologia ci mette a disposizione. Il fatto è che i bootleg (i famosi dischi pirata) sono qualcosa che hanno fatto parte, da sempre, della sua storia, dalla fine degli anni Settanta in poi.
Springsteen è speciale, dicevamo. Basti pensare al primo concerto italiano. E’ il 21 giugno 1985: stadio di San Siro. Non c’è ancora il terzo anello che verrà con i Mondiali di Italia ’90. Dentro lo stadio, pieno come un uovo, ci sono almeno 80.000 persone. Qualcuno dice 100.000. Quel che è certo – io c’ero – è che non avevo mai visto dei carabinieri, in servizio, lasciarsi trasportare dalla musica (senza mancare di rispetto alla divisa, sia chiaro), non avevo mai visto uno sprigionare tanta energia. Non avevo mai visto un concerto durare tre ore e mezzo. Non avevo mai visto un musicista (non ricordo se fosse Ivano Fossati o Eugenio Finardi, non so perché ma li confondo sempre, assistere a una performance di un suo collega) come spettatore. Non farò più l’errore di dire un amico ci vediamo a centrocampo alle 17. Perché alle 17 di quel 21 giugno 1985, due ore e mezzo prima del concerto, ci sono 10.000 persone in quel cerchio. Springsteen è energia. Mi viene in mente la sua versione di Twist and Shout, ora rimodulata con la Bamba. Springsteen è commozione perché la versione di The River, con l’attacco della sua armonica a bocca, fa tremare. Springsteen è amicizia, perché il suo rapporto con lo scomparso Clarence Clemons e con il resto della E Street Band è qualcosa di speciale. Springsteen è unico soprattutto a Milano, San Siro, quello che considera da sempre il suo stadio. C’è stato quattro volte (e io c’ero in tre occasione) e ogni qual volta è un rito che va al di là di qualsiasi racconto perché, per capire, bisogna esserci.
Perché per esempio nel 1985, non ci sono ancora i telefonini, non c’è la rete, ci sono solo le riviste specializzate (Mucchio Selvaggio) e si sa che lui, il Boss, lo scapolone della musica si è appena sposato con una modella, Julien Phillips (vado a memoria). Ma una modella, con la sua presunta perfezione e algidità quasi stona con la fisicità del Boss. E in quel 1985 si capisce almeno questa è l’illusione e il ricordo che mi porto dietro) che quella corista dai capelli rossi, tal Patty Scialfa, è qualcosa di più di una semplice spalla.
Springsteen è speciale anche se non sono mai riuscito a vederlo da vicino, anche se mi legano alcuni aneddoti e pazzie.
Il primo che mi viene in mente è un concerto del 18 ottobre 2002, a Bologna. Data indimenticabile: è nata mia figlia Giulia. Per fortuna è nata al mattino presto, Giulia, perché alla sera, il papà, dopo averla vista addormentata nelle braccia della mamma, scappa a Casalecchio, al concerto del Boss. E ancora quella volta che, per servizio, per un articolo di colore, mi trovo davanti all’Hotel Baglioni di Bologna. Jeans, camicie fuori dai calzoni, magliette. Ci sono almeno 300 persone in trepidante attesa. Arriva un distinto signore in giacca e cravatta. Con tanto di valigetta ventiquattrore. Penso si tratti di un semplice errore. Invece, arrivato a ridosso dell’ingresso, la trasformazione. Dalla ventiquattrore anziché documenti o telefonino saltano fuori bandana, maglietta. Una trasformazione incredibile.
Sempre quella volta, facendo la posta insieme con l’amico fotografo Gianni Schicchi, tentiamo una manovra aggirante. Lo becchiamo per qualche istante, insieme con Patty, su un’auto blu. Ha beffato tutti. Proviamo a spiegarlo a chi lo attende in via Indipendenza. Ci prendono per matti, anzi, per della specie di guardie del corpo messi lì per depistare i fan.
Non c’è verso: il giorno dopo, però, come promesso loro, raccontiamo questa storia sul Carlino.
Ricordi che restano dentro perché alla fine Springsteen, quando lo scopri, è come un tatuaggio, ti resta attaccato addosso.
Buon compleanno, Boss, ma quando torni in Italia per un altro concerto?