Festeggia oggi, 56 anni. Il suo nome è Roberto. Roberto Brunamonti e per chi mastica un po’ di pallacanestro è un nome speciale, che rievoca comunque ricordi (piacevoli o spiacevoli, dipende dalle ragioni del tifo). Ricordi con la maglia di Rieti prima, poi con la Virtus, fino alla fine. Fino all’ultima stilla di energia, prima di decidere di studiare da dirigente, allenatore, poi ancora dirigente. Il compleanno di Roberto Brunamonti – un’icona anche per la nostra pallacanestro, chi può dimenticare l’oro di Nantes conquistato nell’ormai lontano 1983? – è il pretesto per una piccola digressione sull’importanza delle bandiere. Sull’importanza dei giocatori simbolo. Perché? Perché avere ragazzi, uomini, giocatori nei quali identificarsi è l’assist migliore per un movimento, quello della pallacanestro italiana, che fatica parecchio.
Roberto ha significato per almeno un’intera generazione un grande giocatore: fosse il play della tua squadra o il registra della formazione avversaria. Non posso dimenticare cosa significhi il derby per questa città. Non posso dimenticare la fiera rivalità in campo, le botte (agonisticamente parlando) distribuite a destra e a manca. Ma se penso a Roberto Brunamonti non posso dimenticare il feeling che, fuori dal campo, lo legava a Dan Gay. Due volti di BasketCity, due ragazzi che in campo non si risparmiavamo. Ma che, dopo l’ultima sirena, sapevano apprezzarsi. Rispettarsi. Sapevano, soprattutto, lavorare per il bene della pallacanestro.
Ecco perché il brindisi virtuale, per il cinquantaseiesimo compleanno di Roby, diventa il pretesto per ribadire quanto manchi un personaggio simile alla nostra pallacanestro. Siamo proprio sicuri di non voler recuperare Roberto, la sua lungimiranza, la sua passione per la pallacanestro, la sua esperienza? Fosse nato negli States, gli avrebbero già quantomeno dedicato una palestra o eretto un monumento. Noi, invece, ci permettiamo il lusso di non richiamarlo ad alti livelli. Mah…
Nel dubbio, buon compleanno capitano