Se n’è andato a 60 anni. Per chi, magari, ha negli occhi solo Michael Jonrdan, Kobe Bryant o LeBron James, Moses Malone dice poco o nulla. Magari lo confonde con Karl Malone. La realtà è che per chi ha superato i 50 (anni), soprattutto a Bologna, Moses rappresenta qualcosa di speciale. Basti pensare a quanti pivot, o aspiranti tali, si siano lasciati affibbiare il soprannome Moses. Moses, agli occhi di chi, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta – non esisteva internet, non c’erano le tivù a pagamento e la bibbia era rappresentata da “I Giganti del Basket” – amava la pallacanestro, costituiva l’alternativa. C’era chi tifava Lakers e chi, dalla parte opposta, sognava con Doctor J, al secolo Julius Erving. Doctor J era quello che sfidava le leggi di gravità, era l’ala che sapeva galleggiare in aria, che aveva due mani smisurate che sapevano trattare il pallone come un’arancia. Era uno che, il filmato c’è ancora, per sfuggire alle stoppate del terribile Kareem Abdul Jabbar, gli volava attorno e, allungando il braccio, e con un “prillo” (“dicesi prillo una sorta di rotazione del pallone ottenuta, ovviamente, con un movimento rotatorio della mano stesa), riusciva a far canestro. Doctor J, che aveva la classica pettinatura afro ed era nelle camerette (inteso come poster a figura intera) di migliaia di quindicenni, era fantastico. Solo che non vinceva mai il titolo, con Philadelphia, perché i Sixers non avevano un centro che potesse contrastare il terribile Jabbar. Non ce l’avevano (i Sixers) fino a quando, appunto, arrivò lui, Moses Malone. “Mani piccole” urlava l’inimitabile Dan Peterson nelle sue prime telecronache, ma una presenza costante sotto canestro. Così abile da essere riuscito a rimanere nella Nba per vent’anni in doppia doppia (punti più rimbalzi). Kareem aveva i centimetri e il talento. Moses, più basso e più sgraziato (ancorché tremendamente efficace) era il suo antidoto. Philadelphia e il Dottore, nell’anno di grazia 1983, vinsero il loro anello. Grazie a Moses che ci fece vedere “The Promised Land” qualche anno dopo Bruce Springsteen.
Moses, l’inarrivabile. Moses la leggenda. Addio ricordo della nostra giovinezza. E salutaci anche Darryl Dawkins del quale prendesti il posto proprio a Philadelphia. E che, ironia della sorte, ti ha preceduto in questo viaggio verso il cielo e la leggenda.