Ci sono date, nella vita di un uomo (compleanno, laurea, fidanzamento, matrimonio, qualche lutto), che non possono passare inosservate. Ma ci sono anche date, in assoluto, che non possono essere dimenticate. Il 20 maggio 1916, giusto cent’anni fa, in via della Ferriera, una piccola-grande strada che si trova a Santa Viola, prima periferia di Bologna, veniva al mondo Trebisonda Valla. Per tutti, semplicemente Ondina. E visto che i numeri si divertono a giocare con le nostre vite, eccole le cifre tonde che si intersecano tra di loro. Cent’anni dalla nascita di Ondina, ottanta dalla medaglia olimpica conquistata ai Giochi di Berlino, dieci dalla scomparsa.
E quanto valga quella medaglia (la specialità erano gli 80 ostacoli) lo si intuisce da un fatto: prima di allora, prima di quel 6 agosto 1936, nessuna italiana era mai salita così in alto.
Fece un dispetto a Hitler, Ondina, fece un sacrificio grandissimo, perché vinse l’oro, quel 6 agosto, il giorno dopo aver stabilito il primato mondiale il giorno prima. Non tragga in inganno, questo aspetto. Gareggiare un giorno dopo l’altro era, per Ondina, motivo di sofferenza. Non che non si allenasse, sia chiaro. Al contrario, si allenava tanto, ma in quegli anni non c’erano medici di supporto, non c’erano studi a livello di quelli attuali. Ondina era affetta da spondilosi: questo significa che dopo una gara per tre giorni lamentava dolori fortissimi alle gambe. Quasi da non muoversi. E la sua grandezza è data appunto dal fatto che seppe vincere, a Berlino, dopo aver ritoccato il primato mondiale il giorno prima, negli 80 ostacoli. Vincendo la fatica, vincendo il dolore, lasciandosi alle spalle atlete di grande talento, compresa quell’Anny Steuer che, essendo di razza ariana, era la beniamina dello stadio di Berlino, di quei giochi voluti in Germania da Adolf Hitler.
Figlia di Bologna, Ondina, orgogliosa della sua terra e della sua famiglia. La vita l’avrebbe portata poi a L’Aquila, in Abruzzo, a seguire il marito, Guglielmo De Lucchi. Ma Bologna sarebbe rimasto un punto di riferimento. Tanto che, spesso e volentieri, tornava con il marito Guglielmo e il figlio Luigi.
Ondina è, a giusto titolo, nel gotha dello sport italiano. Sportiva vera, perché forse non tutti sanno che, insieme con quell’oro, sugli 80 ostacoli, Ondina seppe mantenere il record italiano di salto in alto per diciotto lunghi anni. Un’eroina di casa nostra, che è diventata anche uno spettacolo teatrale. Un’eroina per la quale si stanno mobilitando in tanti. A cominciare da Stefano Stagni, stratega di comunicazione, appassionato di sport e di storie e a capo di Master Key. Per ricordare meglio Ondina, per capire quello che ha fatto e combinato questa donna straordinaria che era non sono in anticipo sulle avversarie (compresa l’amica-rivale Testoni) ma anche sui tempi, nella notte è stata lanciata una pagina facebook. Presto ci sarà anche un sito a lei dedicato. Perché le belle storie vanno raccontante. Perché gli esempi non finiscono con il termine dell’esistenza terrena di un individuo. Continuano, proseguono in eterno. Perché quella di Trebisonda – che divenne Ondina perché, narrano le cronache, il suo nome una volta venne storpiato in Trebitonda – è la storia di una donna italiana che ha saputo portare, con orgoglio e personalità, il suo paese al top. Perché soprattutto, anche una volta abbandonate le corse, è stata capace di restare ai vertici della vita, con una managerialità che, nelle donne del secondo dopoguerra, era tutt’altro che scontata. Perché Ondina è un pezzo di Storia. Ma, appunto, con la S maiuscola.