Speravo che questo suo lungo silenzio fosse il preludio a un ripensamento. Che Claudio Liverziani, capitano della Fortitudo Baseball, vincitore di cinque scudetti (e titolare di una serie inenarrabile di primati personali e di squadra), avesse l’intenzione di smettere lo avevo capito la notte (o il mattino) del 22 agosto. La Fortitudo, bagnata e fresca vincitrice dello scudetto, stava festeggiando la stella tra un gavettone e l’altro. Lui, il capitano, dopo essere stato portato in trionfo e dopo le foto di rito, se ne stava un po’ in disparte. All’esterno destro, nella sua zona del campo. Si godeva la festa dei suoi ragazzi. Poi, la chiacchierata a quattr’occhi, per le interviste post partita e quello sguardo appagato. Claudio, in quel momento, era un uomo e un campione di 41 anni deciso a dire basta, nel momento forse più bello, la vittoria dello scudetto.
“Ne riparliamo il 10 settembre, quando torno dalle vacanze”, le sue parole, prima di chiudere l’intervista. Nel frattempo i messaggi, scherzosi o meno, via mail o via sms. E, appunto, questo silenzio che ci faceva pensare che Claudio, a dispetto dei suoi 41 anni, rimanesse con la sua esperienza e il suo talento, sul diamante. Dove ha ottenuto il massimo, sempre e comunque. E invece no: oggi il comunicato Fortitudo sul suo addio. La richiesta (legittima) di non concedere interviste e scegliere la strada del silenzio. Perché metabolizzare un addio non deve essere facile. Ma Claudio, forse, alle cose facili non è abituato. Però le affronta bene, a testa alta. Sette anni fa, dopo il suo terzo scudetto con la Fortitudo, un test antidoping positivo. Claudio non si nasconde, non cerca alibi e dice: “Ho sbagliato, ma per ingenuità. Non volevo imbrogliare nessuno”. Ammette l’errore e la giustizia sportiva, parere personale, non gli fa nemmeno uno sconto. Lui, giocatore esemplare, atleta della nazionale. Anzi, forse proprio per questo arrivano due anni pesanti. A 34 anni, fermarsi per due stagioni, potrebbe essere l’anticamera della pensione. E invece no. Claudio resta lì. La Fortitudo lo coccola comunque. Non tanto perché sia un campione, ma perché è un uomo, un amico ferito che vuole rialzarsi. Ma per rialzarsi ha bisogno di una spalla. Due anni a guardare i compagni, sognando di tornare a girare la mazza. A correre dietro una pallina all’esterno destro. Torna, Claudio. Arriva anche la Coppa dei Campioni. Ma lui stravede per lo scudetto: “Perché è il premio a un anno di lavoro. La Coppa è bella, ma si gioca tutto in una o due settimane”, ripete Claudio. Che nel frattempo diventa anche capitano. Gioca, gioca bene ma, forse, comincia a sentire il peso dell’età. “Si ritira uno dei più grandi di sempre”, titola ora il sito della federazione. Per la Fortitudo, che pure se l’aspettava, una mazzata, perché non sarà facile trovare un giocatore all’altezza. Non sarà facile nemmeno trovare un uomo così, capace serenamente di girare a testa alta. Di ammettere l’errore, come nel caso del doping, senza inventare soluzioni improponibili, accettando la pena. Pagandola fino all’ultimo, senza avere nemmeno un giorno sconto, magari in omaggio a una storia e una carriera sempre esemplare.
Il baseball e la Fortitudo continuano, ci mancherebbe, perché questa è da sempre la legge dello sport, “The show must go on”. Ma se la storia (agonistica) di Claudio si chiude dopo tante vittorie ora si apre quella della leggenda, perché adesso cominceranno anche i rimpianti, “Quando c’era Claudio…”.
Sicuramente gli ritireranno la maglia (a proposito, Claudio, quanto vale quella divisa amaranto, frutto della conquista di una Coppa dei Campioni, che io conservo gelosamente in casa?), sicuramente la Fortitudo gli terrà le porte aperte per utilizzare la sua grande conoscenza e la sua grande passione per questo sport. Ma in una giornata come quella di oggi, nonostante il sole, con un ritiro così, ci sentiamo tutti un po’ più poveri. Perché una botta di nostalgia, anche se l’ultima sua partita (da protagonista) in fondo è datata 22 agosto 2016, ha già cominciato a prendere forma.