Lancio pazzo

Buon Natale, ricordando Chicco Ravaglia e le sue magìe a canestro

23 dicembre 1999: ci lascia Chicco Ravaglia. A distanza di 18 anni non ci sono ancora parole per consolare Morena e Bob, la mamma e il papà di Chicco, però c'è almeno un aspetto che può riaccendere un piccolo sorriso, un po' malinconico e tanto orgoglioso. Nessuno, di quelli che hanno avuto la fortuna e l'onore di conoscerlo, ha dimenticato Chicco. Il suo sorriso, il suo entusiasmo (contagioso), la sua passione per una pallacanestro pulita, fatta di canestri apparentemente impossibili, di brusche accelerazioni e di quello sguardo che si illuminava, come quello di un bambino.
Già, perché Chicco, che ci ha lasciato quando aveva solo 23 anni, aveva questo aspetto che conquistava: l'approccio di un bambino al cospetto del mondo dei canestri. Approccio di un bambino che non significa essere immaturi, al contrario. Significa, molto più semplicemente, trovare l'aspetto positivo e in ogni momento della giornata (dei canestri). Anche quando gli allenamenti sono duri, anche quando il pallone non ne vuole sapere di entrare. Anche quando, magari, hai appena subito un cazziatone da un allenatore che non ha apprezzato il ritorno in difesa. Chicco era la magìa che solo la pallacanestro sa regalare, Chicco era l'entusiasmo per uno sport che guarda in alto e pure lontano. Uso l'imperfetto ma, in realtà, mi rendo conto che potrei usare tranquillamente il presente o addirittura il futuro. Perché Chicco è e sarà. Dopo la sua scomparsa l'amico Filippo Nanni gli dedicò un bellissimo volume. Le tifoserie di Cantù, Varese e Virtus Bologna, che pure non si amano, hanno almeno un punto in comune. Il ricordo di un ragazzo che con il pallone sapeva regalarsi e regalare gioie straordinarie. Sono passati 18 anni da quel terribile 23 dicembre. Sono passati gli anni, ma le chiacchierate all'Arcoveggio, prima degli allenamenti, quando arrivava di corsa, in sella al Cagiva 50 che, credo, avesse "vinto" come premio proprio a Varese, restano nella mia mente. Come restano, nella mia testa, indelebili, le immagini di una chiesa piena, a Imola, in un grigio pomeriggio di fine dicembre di 18 anni fa. I volti smarriti di Pozzecco, l'occhio lucido di Sconochini. Lo sguardo basso di Brunamonti. L'affetto di un mondo e di una città che si strinsero attorno a Morena e Bob. Diciotto anni dopo per me la pallacanestro ha ancora il colore azzurro degli occhi di Chicco, il suo approccio timido e cordiale di quando si presentò per la prima volta all'Arcoveggio, per giocare con la prima squadra. I suoi sogni e le sue visioni di traiettorie per regalare assist ai compagni. Sono passati 18 anni, ma il ricordo ci accompagna sempre. Basta nominare il suo nome per vedere volti illuminarsi al ricordo. Come solo lui sapeva illuminarsi. Diciotto anni dopo: buon Natale caro Chicco. Accompagnaci sempre.

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