Lancio pazzo

UnipolSai, quando il cuore e il gruppo valgono doppio

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Non abbiamo la bacchetta magica né la sfera di cristallo. Per cui non sappiamo se la Fortitudo - le sorprese sono dietro l’angolo e il baseball è uno sport fatto di momenti - alla fine, dopo aver vinto la Coppa dei Campioni, confezionerà una storica accoppiata portando a casa anche lo scudetto. Però ci sono tanti segnali che ci fanno capire come la squadra plasmata da Lele Frignani e assemblata da Christian Mura sia davvero un gruppo unito. Per rilanciare un vecchio motto ormai in disuso: “Tutti per uno e uno per tutti” (i lettori di Alexandre Dumas padre e della saga dei tre moschettieri sono favoriti nella comprensione).
Avevamo lasciato l’UnipolSai una settimana fa: in semifinale 107 lanci per Stephen Perakslis (uno che, in fondo, conosce veramente poco la Fortitudo e Bologna, però deve essere in qualche modo rimasto conquistato da una certa atmosfera), 120 per Raul Rivero (quando il cuore, e non solo quello, fa provincia). In un baseball dove, di solito, si cambia il pitcher dopo 70-80 lanci, le due prove, numeriche, ci danno il metro del carattere dei due ragazzi.
E cosa succede alla ripresa del campionato? Contro San Marino, per di più, la squadra forse più in forma e pericolosa? Che Raul Rivero, ovviamente, dopo i 120 lanci non possa essere il partente di gara-uno. E che il suo naturale sostituto, Tony Noguera, non sia disponibile per un problemino fisico. Che fare, allora? Battere San Marino, per chiudere i conti in caso di arrivo in volata, è fondamentale per blindare un primo posto che significa anche la partecipazione alla prossima Coppa dei Campioni.
C’è Murilo Gouvea-Brolo, che è un ottimo lanciatore, un grande closer. Ma come tale, si è portati a pensare, ha nel braccio 2, al massimo 3 inning. E tra i 30 e i 40 lanci. Murilo invece comincia la gara e costruisce qualcosa che è molto simile alle prove precedenti di Perakslis e Rivero. Anzi, forse qualcosa di più, perché i due sono partenti per eccellenza. Murilo resta sul monte per sei riprese, 98 lanci, una prestazione perfetta, uscendo da vincente. Al di là della vittoria che, come tale, vale sempre uno, un segnale, ancora, di un gruppo che continua a sfornare sorprese (positive). Si chiama cuore, si chiama Fortitudo. Mai come quest’anno (sono ammessi tutti i riti apotropaici che conoscete) la Fortitudo appare vicina a un’annata clamorosa. Questione di cuore.

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