Visto dall'architetto

Sisma in Emilia: analisi delle cause del collasso di strutture anche realizzate in cemento armato

l terremoto degli scorsi giorni nelle province dell’Emilia Romagna ha, viceversa, registrato accelerazioni che lo classificano di diritto nei gradini più alti della suddetta scala

Dopo circa 2 settimane dall’inizio delle rilevanti scosse sismiche che hanno colpito aree della Pianura Padana, si cerca, per quanto possibile, di dare risposte a importanti quesiti. Si cerca innanzi tutto di puntualizzare alcuni aspetti fondamentali, inerenti alla tecnologia e alla progettazione delle strutture realizzate nell'area nel corso degli ultimi decenni. Le precedenti esperienze dei terremoti del Friuli, Umbria-Marche e L’Aquila – storiche aree sismiche, hanno chiaramente dimostrato che, con un’adeguata progettazione, gli edifici industriali prefabbricati in calcestruzzo presentano un ottimo comportamento anche di fronte a sollecitazioni estreme. Detto ciò, è indispensabile ricordare come, fino al 2003, il territorio dei comuni oggi colpiti dal terremoto non fosse compreso tra le aree ritenute a potenziale rischio sismico. Da qui l'assenza di obblighi normativi o di legge relativi all'adozione di tecnologie e sistemi utili a tutelare le opere in caso di eventuali sollecitazioni sismiche.

Nel 2003 il Governo italiano, a seguito degli eventi in Puglia, ha imposto una profonda revisione della classificazione nazionale delle aree sismiche. Questo ha modificato il profilo di rischio dei comuni interessati oggi dal sisma che, tuttavia, è stato indicato come "moderato", con l'attribuzione di un livello pari a 3, in una scala da 4 a 1, in cui 1 rappresenta il tetto massimo di pericolosità.

Il terremoto degli scorsi giorni nelle province dell'Emilia Romagna ha, viceversa, registrato accelerazioni che lo classificano di diritto nei gradini più alti della suddetta scala. Ma è solo con l’entrata in vigore (01/07/2009) delle Norme Tecniche delle Costruzioni che la normativa nazionale ha imposto una risposta ingegneristica più attuale alle sollecitazioni sismiche.

Sicuramente l’intensità del sisma è un fattore importante nel crollo di una struttura, ma in questo caso, a parere dei tecnici specializzati, ha avuto un ruolo determinante la grande vulnerabilità di questa tipologia strutturale.

I capannoni nella maggior parte dei casi sono stati costruiti senza dettagli sismici, peraltro, come detto, non richiesti dalla normativa dell’epoca di costruzione. Quindi nodi tra travi e colonne senza connessioni meccaniche e piccoli appoggi. Tegoli di copertura semplicemente appoggiati. La maggior parte dei collassi è dovuta alla caduta delle travi dagli appoggi per limite di spostamento.

Le travi sono appoggiate sui pilastri ed i tegoli di copertura sono appoggiati a loro volta sulle travi. Il solo attrito garantisce il collegamento. Per questo motivo sopportano bene i carichi verticali, mentre non sono capaci sopportare le azioni orizzontali dovute al terremoto. In Italia è prassi comune realizzare i nodi a secco.

È assolutamente necessario introdurre delle connessioni meccaniche in corrispondenza degli appoggi. In questo caso è possibile per la struttura sopportare le azioni  sismiche.

Il  problema è stato il ritardo dell’adozione della nuova mappa sismica che è avvenuta solo nel 2003. Tutte le costruzioni realizzate nella zona epicentrale prima di questa data non hanno nessuna capacità di resistere alle azioni sismiche. Oggi in quelle zone basta costruire seguendo la nuova norma tecnica e le mappe di pericolosità esistenti per essere sicuri. Il grande problema quindi, sono le costruzioni esistenti, costruite con regole vecchie e spesso senza regole sismiche.

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