Ricostruire la memoria
A breve distanza dagli eventi sismici non è ancora possibile prevedere l’entità dei danni che il patrimonio storico e artistico emiliano ha subito.
A breve distanza dagli eventi sismici non è ancora possibile prevedere l’entità dei danni che il patrimonio storico e artistico emiliano ha subito.
Sono centinaia i monumenti colpiti dal terremoto e gravemente danneggiati. Il duomo di Mirandola, costruito nel XV secolo, è in gran parte crollato; dall’esterno si intravedono i pilastri e quanto rimane delle volte gotiche. Un crollo analogo anche per il duomo di Carpi, un edificio eretto agli inizi del Cinquecento su progetto di Baldassarre Peruzzi.
In tutta l’area hanno subito grosse lesioni anche castelli, palazzi storici, campanili, torri civiche. Finale Emilia, come Mirandola, Modena, Mantova e tante altre città ne sono uscite profondamente e forse irrimediabilmente compromesse.
In Italia non si è mai fatto abbastanza (o forse è meglio dire che non si è fatto quasi nulla finora) per ripristinare lo stato di salute e stabilità delle opere lasciateci dal passato, adeguandole ai parametri sismici previsti per le nuove costruzioni.
Basti pensare ad Assisi, uno dei più importanti monumenti artistici ed architettonici del nostro paese. Prima dei disastri del terremoto del 1997 avevano del tutto tralasciato ogni adeguamento delle strutture al contesto ed alla normativa sismica vigente. Assisi nel 1997 cadde a causa dell’uso del cemento utilizzato nell’intervento del 1954, così come oggi la rocca di Finale è caduta nonostante un restauro recente.
Nel campo archeologico ed architettonico esiste un procedimento chiamato Anastilosi: consiste nel ricostruire un edificio storico crollato riutilizzando i materiali che inizialmente lo costituivano. Naturalmente è possibile ricorrere all’Anastilosi solo in quei casi in cui i materiali reperibili, successivamente al crollo, siano ancora nelle condizioni di un loro riuso; così come è corretto riutilizzare gli stessi materiali ricostruendo un monumento immagine del tutto simile al preesistente, solo quando esiste una corposa documentazione che consenta di ripristinare in toto le caratteristiche architettoniche del manufatto. Tutto è importante anche gli aspetti cromatici e i materiali di finitura utilizzati perché si possa ripristinare un pezzo di memoria danneggiato; il rischio è quello che il manufatto riportato in vita possa essere inteso come falso, alimentando polemiche e critiche in merito alle procedure adottate.
Altro approccio è quello basato non su una ricostruzione ma sull’adeguamento di quanto il passato ci ha lasciato riproponendolo secondo linguaggi e tecniche attuali. Come lo stesso Brandi affermava in merito alla non riproducibilità dell’atto creativo e realizzativo, che ancora definitivamente un manufatto al periodo storico in cui è stato concepito, realizzare copie, peraltro non uguali per via della mancanza di un’adeguata documentazione esistente, porta ad un anacronismo non accettabile.
L’opera di costruzione diventa così l’occasione per ripensare i monumenti distrutti con il linguaggio attuale, in cui i richiami al passato in termini di riferimenti, o di momento ispiratore, possano essere legittimi, ma non vincolanti.
Il “ripensamento” o meglio la “riprogettazione” con un linguaggio moderno di ciò che oramai non c’è più diventa così l’occasione di creare un valore aggiunto meritevole di essere ammirato e di passare alla storia. Solo così da una disgrazia si può cogliere un’occasione per valorizzare il nostro patrimonio architettonico utilizzando quelle che oggi sono le nostre modalità espressive, così come Carlo Scarpa a Castel Vecchio a Verona fece negli anni ’60; oggi si visita quel monumento proprio per ammirare l’opera concepita dal grande architetto.
Scegliere quale tipo di approccio intraprendere è quindi arduo e non privo di rischi interpretativi. La posta in gioco è la memoria e l’identità, usurpate, cancellate, in nome di una presuntuosa capacità di ricucire l’ormai perduto attraverso l’improprio uso della modernità.
Scarpa era unico, e costruire il nuovo sulle macerie di quanto ormai perduto, richiede grandi capacità e sensibilità oltre che progettuali, interpretative.