Bioedilizia
La vita di un progettista ecologicamente orientato non è affatto semplice. Ciò che in tempi non molto lontani era pratica comune nell’iter progettuale e nella realizzazione di un edificio, oggi presuppone conoscenze che sono al margine dei percorsi formativi tradizionali
La vita di un progettista ecologicamente orientato non è affatto semplice. Ciò che in tempi non molto lontani era pratica comune nell'iter progettuale e nella realizzazione di un edificio, oggi presuppone conoscenze che sono al margine dei percorsi formativi tradizionali. Attualmente è necessario il raggiungimento della consapevolezza collettiva che rivolgere l'attenzione all'ambiente equivale ad aver cura della salute dell'uomo, oltre che del suo benessere psicofisico. Essere bio architetti vuol dire possedere una coscienza ambientalista, nel senso più puro del termine, esercitando tutti i giorni, all'interno del proprio mondo professionale, ma anche e soprattutto personale, la pratica del rispetto per ciò che non appartiene solo a noi ma a tutti, in maggior misura ai nostri figli, che vorremmo ereditassero non solo i frutti del progresso tecnologico, ma anche uno spazio vitale non depauperato. Fermi restando questi presupposti, che comportano uno sforzo a livello planetario, un importante fattore è la struttura abitativa in senso stretto, poichè gli edifici sono organismi vivi, che interagiscono con l'ambiente e con i suoi abitanti, rappresentano l'unità del tessuto urbano e sono il nostro contenitore per la maggior parte della nostra vita. Conoscere i materiali realmente biologici, le tecnologie costruttive tradizionali, riappropriarsi di concetti e tematiche che ci appartengono non può che consentire, aldilà del benessere dell'individuo, il ripristino e la conservazione dell' equilibrio millenario tra uomo e ambiente. Negli ultimi anni anche in Italia è andato crescendo l’interesse per le tematiche ambientali e per l’architettura bioecologica, seppur in ritardo rispetto ai paesi del Nord Europa.
L’importanza della bioedilizia e delle tematiche attinenti è comprensibile se si pensa che mediamente l’uomo europeo medio passa il 90 % della propria vita in spazi chiusi e che mediamente l’aria interna degli edifici è di circa tre volte peggiore rispetto a quella esterna.
Altrettanto significativo è il fatto che l’attività edilizia costituisce uno dei settori industriali a maggior impatto ambientale. Questo è in primo luogo dovuto al “consumo” di territorio e di materiali, che vede il 50% delle risorse sottratte alla natura destinate all’industria edilizia; altrettanto ingente è la quantità di rifiuti prodotti da tale settore, che è pari al 50% dei rifiuti annualmente prodotti.
Le mura degli edifici nell’architettura bioecologica assumono il ruolo di “terza pelle” per l’uomo: la nostra prima pelle è il tessuto cutaneo, la seconda l’abbigliamento, la terza, appunto, l’edificio in cui viviamo. Ciò che accomuna questi tre “strati” è il fine, ovvero garantire protezione e benessere all’organismo, riparandolo dagli agenti esterni che potrebbero danneggiarlo.
A differenza dell’odierna tendenza che intende l’edificio come un contenitore ermetico, la bioedilizia lo considera come un organismo vivo: oltre che proteggere dagli agenti esterni, l’architettura dovrebbe essere in grado di respirare, di consentire cioè degli scambi tra ambiente interno ed esterno, come una sorta di grande polmone.
In quest’ottica assumono grande importanza la scelta dei materiali da costruzione, il loro impiego e le scelte tecnologiche adottate: di questo appunto si occupa la bioedilizia.