Poche chiacchiere: l’impressione che il grande Andrea Camilleri sia tale oltre Montalbano si fa sempre più forte. O, almeno, così ci sembra. Esempio: avete presente il romanzo Il tailleur grigio uscito nel 2008? Poco considerato dalla critica (o, per lo meno, non abbastanza), è un capolavoro. Leggere per credere. Impressione che si prova anche con questi Racconti di Nené (Melampo, 11 euro). Tanto per chiarire subito i motivi del nostro entusiasmo vi diciamo che si tratta di un’autobiografia a episodi, tratta da un’intervista televisiva targata RaiSat Extra e intitolata appunto «I ’cunti di Nené». Si sentono i sapori e gli odori di Sicilia, ma quel che preme sottolineare è la cifra stilistica, quel tratto distintivo che maggiormente ci affascina nel maestro di Porto Empedocle: l’autoironia. È la bussola con cui Camilleri ci guida attraverso i mille misteri e le mille avventure che caratterizzano la sua vita (verrebbe da dire: inimitabile, ma ci asteniamo per evitare toni eccessivamente enfatici che, ne siamo certi, non piacerebbero nemmeno al Nostro).
Ed ecco quindi il giovanissimo Andrea che, a dieci anni (siamo nel 1935), va ad aprire la porta e si trova di fronte «un ammiraglio». Il quale, con piglio severo, chiede di parlare con nonna Camilleri. Fa caldo, «un gran bel caldo» alle «tre e mezzo di pomeriggio». Ma fa ancora più caldo quando scopriamo che l’«ammiraglio» altri non è che l’immortale Luigi Pirandello. Sì, in divisa. Ma non da «ammiraglio» bensì da Accademico d’Italia, arrivato a Porto Empedocle per inaugurare le scuole comunali. Vede la nonna del giovinetto, l’abbraccia e mormora una frase che dice tutto: «Oh, Carolina la nostra giovinezza».
E si potrebbero fare mille altri esempi. Come quando Andrea ha la pretesa di fondare — siamo in una Sicilia appena liberata — la locale sezione del Partito comunista. Impresa impossibile per le autorità. Van bene tutti i partiti. Però no, il Pci proprio no. E allora, ecco che Andrea si fa aiutare… dal vescovo.
C’è poi la maturità e l’incontro con una Roma magica, percorsa da fremiti culturali oggi inimmaginabili. Una carrellata di nomi da farci crepare d’invidia: da Gaspare Giudice a Silvio D’Amico, da Virgilio Marchi a Elvira Sellerio a Leonardo Sciascia (il quale cucinava come pochi, ma non voleva si sapesse…).
Un’ultima annotazione sui curatori del libro. Francesco Anzalone e Giorgio Santelli hanno fatto un’operazione al tempo stesso intelligente e divertente. E hanno anche scritto due postfazioni tutte da leggere. Di sicuro valore narrativo. Si attendono, quindi, altre prove.

Francesco Ghidetti