TI ASPETTI bandiere al vento. Grida di gioia, braccia alzate, pugni chiusi. E invece, no. Anzi. la risposta è: «Ce l’aspettavamo. Ma come al solito, voi giornalisti non avete capito un tubo di qual è il vero problema». Dunque, il fatto che si siano ristabilite relazioni diplomatiche fra Stati Uniti e Cuba non risolve la cinquantennale questione dell’embargo, del blocco economico che, più o meno, soffoca l’Isola di Fidel e del Che. Almeno così la pensa l’associazione Italia-Cuba, nata nel 1961 («nel momento dell’aggressione degli Stati Uniti a Playa Girón», recita l’articolo 1 dello Statuto), con circa cinquemila iscritti e più di sessanta circoli attivi.

Il primo tentativo di capire perché i «compagni» amici di Cuba non esultino non va a buon fine: «No, abbia pazienza, sono a Cuba – dice Carlo, responsabile della sezione fiorentina –. Per lavoro». Va meglio alla seconda: «Il problema – attacca il focoso Angelo, responsabile di Parma – è che solo le grandi mobilitazioni hanno permesso questo risultato. Siamo però lontani da distruggere quel blocco che affama l’isola. Certo, sono state riconosciute le ragioni di Cuba. E non c’è stato alcuno scambio di spie come scrivete voi! Lo predichiamo da tempo. Noi…».

Già, la predicazione. Nelle sezioni locali la vita prosegue. Con fatica, ammette Riccardo che nella sua Cremona vanta 70 iscritti: «I giovani vengono, certo. Ma è inutile nasconderlo. Tanti ne perdiamo perché troppo anziani. E se si avvicina la parte, chiamiamola così, anarchica sentiamo critiche ferocissime. Una volta c’erano le Brigate Internazionali di lavoro. Adesso c’è più un approccio turistico. Eppure noi insistiamo. Tanta politica, tanta cultura. E conferenze con protagoniste come la figlia del Che».

Che comunque, volenti o nolenti, il mito di Cuba resista è testimoniato dal fatto che, dicono alcuni, addirittura i «fascisti del Terzo Millennio» di CasaPound abbiano tentato di entrare nell’associazione. Ovviamente messi alla porta. «La questione vera – dice il responsabile labronico Giovanni – è che, anche in una città rossa o percepita tale come Livorno, avvicinare i giovani non è facilissimo. Per ragioni oggettive, è sempre più difficile fare politica sul territorio, un po’ perché i partiti non fanno più da cinghia di trasmissione. Il che non vuol dire mancata partecipazione. A Tirrenia, il 2 settembre tra film, balli e cena la gente è venuta eccome. Per non parlare quando, il 26 novembre, un giovane giornalista cubano di Telsur ha parlato e non si è sottratto a domande impertinenti».

NON mancano accenti critici, mica è tutto perfetto a Cuba, però… «Però – scandisce Salvatore responsabile della sezione di Nuoro – ve lo immaginate se in Sardegna ci fosse stato l’embargo? Tempo una settimana e saremmo morti. Loro invece sono tosti». Ridono tutti quando chiedi quanti finanziamenti arrivano da L’Avana per la propaganda filo castrista: «Casomai quanti ne arrivano dalle nostre tasche». Solo il presidente nazionale Sergio Marinoni usa parole più soft: «Una pagina di storia è stata scritta. E dirò di più. Sono ottimista anche sull’embargo». Poche chiacchiere: Cuba è sempre Cuba? «Eh sì. Del resto, i medici che di più combattono l’Ebola di dove sono?».