C’è una regola da cui non si sfugge. Se in un libro le sottolineature sono troppe, vuole dire che l’autore ha centrato il suo obiettivo: farsi leggere. Con passione. È il caso del racconto di Marco Vichi La sfida (Guanda, euro 7). Bello sin dalla copertina, elegantemente illustrata da Guido Scarabottolo.

Si narra di un triangolo (morboso ma senza tinte hard) fra uno scrittore, un paralitico e la bellissima Elena. Avvertenza: lo stile asciutto di Vichi (autore tra i più noti, giallista insigne) è una delle chiavi per assaporare, magari con un retrogusto un po’ amaro, queste pagine a loro modo ‘travolgenti’. Dal protagonista, lo scrittore scorbutico che vive un momento di frustrante aridità creativa all’uomo in sedia a rotelle, Davide Yalta, il quale rivela subito lo scopo della sua ribellione alla menomazione: «Ho passato la vita a nascondermi. Mi sono stufato, adesso deve cambiare tutto». E ancora: «Voglio desiderare quanto posso, buttarmi nella mischia, voglio sentirmi dire di no, voglio picchiare ed essere picchiato. Come fanno tutti». Inizia così quel tentativo di cambiamento che porterà Davide a rovesciare di continuo le carte in tavola con esiti che, ovviamente, non sveliamo.

Eppure, in questo racconto attraversato da una riuscitissima analisi introspettiva permeata da un’angoscia costante, la figura più riuscita è Elena, la donna dei desideri dello scrittore e del paralitico. Elena di cui a «ondate mi arrivava il suo odore, che sapeva di sole e di giovinezza». Di più: «Ogni secondo mi voltavo a guardarla, e mi sembrava sempre più bella. A momenti mi arrivava l’odore buono dei suoi capelli, e immaginavo di abbracciarla all’improvviso e di baciarla con forza». Ed è altresì significativa, proprio in riferimento alla capacità dello scrittore fiorentino di pennellare i caratteri dei protagonisti, la figura di Giacomo, deriso e offeso, incapace di difendersi anche per la vigliaccheria dello scrittore. Giacomo, metafora vivente delle nostre assurde debolezze.

La sfida è uno scrigno pieno di mille altre suggestioni e, come si diceva una volta, «si legge tutto d’un fiato». Anche perché, a ogni parola, il fiato ti viene a mancare. Della serie: chiamale, se vuoi, emozioni…