Pochi esempi per capirsi.

1. L’ambito dello scrittore «è la parola, allora gli spetta il compito di proteggere il diritto di tutti a esprimere la propria».

2. «Salman Rushdie con il suo romanzo Versetti satanici ha scatenato manifestazioni di masse islamiche. Delle persone sono morte per questo effetto di reazione».

3. «I dolori del giovane Werther scatenò un’ondata di suicidi nei giovani europei».

Insomma, ci siamo capiti: se si scrive, come Erri De Luca, bisogna stare molto attenti a come si adoperano le parole, a meno di non fare un elegante ma sostanzialmente sterile esercizio di stile. E allora, piaccia o meno l’autore napoletano (e a noi piace assai) una riflessione si impone. De Luca ha sostenuto che la Tav va «sabotata» e che le cesoie «sono utili a tagliare le reti». Parole forti. Troppo. E, state tranquilli, non vi vogliamo riproporre la stucchevole litanìa dei «cattivi maestri». De Luca fu membro autorevole di quella banda di sfasciacarrozze di poche idee ma confuse che fu Lotta Continua. Il che non conta. Conta invece che lui si renda conto delle possibili conseguenze. Detto ciò, sarebbe dannoso se De Luca fosse condannato dopo il processo che inizia il 28. Un non sense. Anche perché, per coerenza, dovremmo condannare altre migliaia di persone che hanno usato (male) la penna o la lingua. E poi perché esiste un articolo della Costituzione, il 21. Rileggetelo.

PS Le citazioni sono tratte da un articolo di De Luca su «il Manifesto» dell’8 gennaio 2015.