CHE GIORNATINA. Un sabato italiano ad altissima tensione politica. Motivo del contendere, il Jobs Act. Vero motivo del contendere, la nuova riforma elettorale. Con la sinistra dem che si scatena. Il tutto condito dalla presenza (ingombrante) del presidente della Camera, Laura Boldrini. Durissima. In trincea: «Guai all’uomo solo al comando. Sì ai ruoli intermedi». E ancora: «Credo nelle associazioni, nei sindacati. Dunque, l’idea di avere un uomo solo al potere non mi piace, non mi piace (notare la ‘doppietta’ ndr) perché non rispetta l’idea di democrazia». Insomma, il governo ha ignorato il Parlamento. A ulteriore conferma del clima che rischia di soffocare i palazzi romani, ecco la sinistra dem in assemblea. Che spara a raffica. E se il ministro della Giustizia Andrea Orlando resta fra color che son sospesi (dubbi sui licenziamenti collettivi, ma per il resto il Jobs Act non è poi così malaccio, sostiene), i vari Stefano Fassina («ignorate le raccomandazioni ricevute dalle commissioni parlamentari. Uno schiaffo»), Gianni Cuperlo, Alfredo D’Attorre, Cesare Damiano e Pippo Civati – il quale (notizione) non minaccia scissioni – danno il classico fuoco alle classiche polveri. Manca Pier Luigi Bersani. Manca Massimo D’Alema, di ritorno da Madrid, silente e furibondo. Non per calcolo, ma perché il giudizio nel merito è durissimo. «Del resto – scuote la testa uno dei suoi colonnelli – qui la modernità viene coniugata come ritorno all’indietro sui diritti…».

EPPURE, tutti concordano su un fatto: la vera partita è sulla riforma elettorale. Bersaniani di strettissima obbedienza assicurano: «C’è stato un incontro supersegreto fra Renzi e minoranza dem. In sostanza, Matteo ha chiesto una non belligeranza sulla legge elettorale in cambio di concessioni sul Jobs Act. Gli hanno risposto con un cortese ‘no grazie’». Insomma, forse quella di ieri è scenografia. Nessun rischio di spaccatura reale sino all’Italicum. Però i bersaniani son guardinghi. Antonio Misiani: «Non mi convincono le scelte su licenziamenti collettivi e demansionamento. Ma parlare di ritorno agli anni ’50 per decreti che aboliscono i co.co.pro ed estendono gli ammortizzatori sociali è un filino surreale…».

SARÀ, ma l’esplosione del caso-Boldrini complica maledettamente le cose. E la pellicola diventa degna di uno spaghetti-western di antica memoria. La ‘Laura furiosa’ non la manda a dire, specie quando parla di «non rispetto della democrazia». Di tutt’altro parere il leader Ncd Angelino Alfano: «Ci hanno criticato sindacati di sinistra, Camusso, Landini, la presidente della Camera in veste più politica che istituzionale. Se ci danno torto loro, abbiamo ragione noi». Ancor più dura la vice Pd Debora Serracchiani: «Spiace che la presidente della Camera che ricopre un ruolo di garanzia si pronunci in questo modo sulle riforme, sapendo bene che il parere delle commissioni non è vincolante. Quanto all’uomo solo al comando, ricordo sommessamente che il Pd è squadra di donne e uomini, che portano avanti uno sforzo comune». Insomma, è caos. Tanto che il solitamente pacato Cuperlo, s’arrabbia: «Non siamo tifosi del Feyenoord, non stiamo qui per sfasciare la Barcaccia. Pensiamo che la sinistra possa dare una mano a fare la riforma del lavoro, sappiamo bene cosa significa dignità del lavoro. Voi forse no». Finalino con il leader Fiom Maurizio Landini: «Lui (Renzi) non si confronta con i sindacati, mette la fiducia in Parlamento».