PAURA. Passione. Speranza. Dubbi. Sconforto. Adrenalina pura. Mille mani da stringere. Pernacchi in agguato. Mancano sette giorni e poi, finalmente, sapremo. Perché, concetto semplice, questi sette appuntamenti elettorali per le regionali hanno un formidabile valore nazionale. Non solo e non tanto per i partiti. Ma, soprattutto, per capire se il decisionismo di Renzi regge alla prova delle urne. E poi, ancora, per sciogliere l’incognita dell’oramai classico ‘non voto’.

CHE RENZI tenga (e tema) queste elezioni è certo. Tanto che ha cercato di ritagliarsi un ruolo di mediatore. In tal senso è esemplificativo il frizzante intervento a favore di Vincenzo De Luca in Campania al grido stile-Aldo Moro «non ci faremo processare». Abbiamo scritto «ha cercato» non casualmente. Voce dal sen fuggita o consapevole esternazione, il presidente ha rinnovellato la polemica col sindacato. Forse è stata esagerata la reazione – in fondo sino al 1947 è esistito un unico sindacato –, ma certamente, in una fase così delicata, l’uscita ha il sapore di un assist ai contestatori. I quali ‘si annidano’ nel maggior sindacato italiano, la Cgil, ma anche in Uil e Cisl (non in tremende associazioni bolsceviche). Questo ritorno di fiamma può danneggiare l’azione di Renzi, la si condivida o meno. Specie se unita al malessere diffuso di ceti come i docenti da sempre serbatoio (spesso ben più della tanto mitizzata «classe operaia») del ‘partitone’.

C’È POI un’evidente campagna che, da un ottimismo senza freni per «Matteo», è passata a un catastrofismo inaudito. Se prima il Pd pensava, a detta di molti, a un sereno 6 a 1 – se non addirittura a un 7 a 0 – ora trema all’idea di una vittoria di misura per 4 a 3. Ma un dato, che volutamente abbiamo tenuto per ultimo, va sottolineato. La partita della vita si gioca nella bella e martoriata Liguria. ‘Lella’ Paita ha paura. Di un rinato Giovanni Toti. Di un’insidiosa grillina, Alice Salvatore, di un Luca Pastorino esponente di quella ‘sinistra-sinistra’ – appoggiata dai vertici sindacali – che testa le proprie aspirazioni nazionali. E che se andasse in doppia cifra creerebbe non poche grane a Renzi. Ricordate? Nel 2000 D’Alema se ne andò dopo la sconfitta alle Regionali. Anche lui, non era stato eletto «dal popolo». Fantasie, ma, ormai, l’elettorato è (molto) mobile…