«POCHE chiacchiere: il Partito democratico non può fallire. Per un motivo difficile da contestare: non è mai nato, era ed è solo un’unione a freddo di due apparati. Con i risultati che abbiamo visto».
Il professor Massimo Cacciari, filosofo imprestato alla politica (oltre che in Parlamento è stato sindaco di Venezia, esponente del Pci e della Margherita e molto altro), non le manda a dire come sempre. E critica duramente i democratici e il Pd.
Allora, professore: il Pd è in crisi? Allo sbando?
«Difficile parlare di crisi per una formazione politica che, di fatto, non ha mai mostrato i caratteri distintivi della sua nascita. Basti pensare che in quel partito, o presunto tale, non ci sono organi dirigenti effettivi. Che non è possibile parlare di struttura radicata per davvero sul territorio».
Insomma, Renzi balla da solo?
«Al di là delle facili battute, diciamo che, specie al governo e con l’esclusione del solo ministro Pier Carlo Padoan, non ha nessuno dietro. Nessuno che gli copra le spalle. E infatti il suo è un agire politico dettato da una regola precisa, che mi pare non si presti a dubbi. Non ho partito, non ho governo, è il ragionamento del nostro presidente del Consiglio, e quindi tanto vale tutelare la mia immagine. Questo insieme di cose spiega chiaramente il perché dei suoi comportamenti politici. Renzi tende, per farla breve, a evitare i problemi».
Non sarà un giudizio ingeneroso?
«No, diciamo che è un dato di fatto realistico, che tiene conto di come si cerca di condurre la lotta politica. Insomma, per Renzi è meglio evitare di parlare di temi che potrebbero portare a momenti duri, di forte impopolarità e che quindi vanno evitati».
Complice la mancanza di un partito solido alle spalle.
«Certamente. Ma questo avrebbe dovuto essere chiaro sin dall’inizio. Il Pd, lo ripeterò sino alla noia, è un partito che non è mai nato. E che se non è mai nato, mai potrà morire. Non dimentichiamoci che Renzi è arrivato alla leadership nata sul fallimento dei vari Bersani, D’Alema eccetera. Si tentò di fare un qualcosa con botti vecchie e vino vecchio. E, ovviamente, non si è giunti a nulla».
Però, una minoranza agguerrita nel Pd esiste. Eccome se esiste…
«Detto con serena franchezza io non vedo alcuna minoranza democratica agguerrita in grado di contrastare la sua leadership. Bersani? Cuperlo? No, decisamente non sono in grado di fare alcunché. E infatti non si sono organizzati in qualcosa di strutturato».
E il governo?
«Soffre dello stesso problema. Non esiste figura in grado di dire qualcosa di diverso da quanto affermato dal premier».
Roma, caso Marino. Anche lì non è che il Pd abbia fatto faville.
«No, decisamente no. Ma il ragionamento da fare è più ampio. Diciamo che si assiste a un insieme di fattori che possono essere mischiati tra loro per tentare di comprendere la situazione. Da una parte c’è Ignazio Marino che può anche aver sbagliato, ma che certamente eredita una situazione già compromessa. Con una precisazione. Quando vinse le elezioni, io ero assai perplesso. Sembrava un marziano piovuto dallo spazio. Quei toni roboanti, quel modo di fare… Dall’altra, da qui a gettargli la classica croce addosso però ce ne corre assai. Anche perché in questa situazione si potrebbero trovare in molte altre realtà».
Vale a dire?
«Vale a dire che dappertutto si taglia. Poi, è chiaro: una cosa è governare Bologna o Firenze, altro Roma…».