«IL PARTITO nuovo». «Il Partito dalle mani pulite». «Il Partito del progresso». E potremmo continuare all’infinito. Slogan, bandiere rosse al vento, abbracci e canti di popolo, piazze piene, festa con tanti tavoli, urne – almeno fino al 1976 – piene. Ma, per parafrasare il titolo di un celebre volume di Italo Pietra, fu vera gloria? Davvero il «Partito comunista di Gramsci-Togliatti-Longo-Berlinguer» fu fattore di progresso? O avevano ragione quei ragazzi che rispondevano «che c’entra il primo (Gramsci ndr) con gli altri tre?». Il dubbio è legittimo sia al vaglio dell’analisi politica, pur attraversata da robusta polemica, sia davanti a quello che una volta si sarebbe detto il tribunale della storia. In tal senso ci pare oltremodo istruttivo leggere due libri.

Il primo di Anna Tonelli, storica il cui sicuro spessore critico (è lei l’autrice, tra l’altro, di due casi editoriali: “Falce e tortello. Storia politica e sociale delle Feste dell’Unità del 2012” e “Gli irregolari. Amori comunisti al tempo della Guerra fredda”).

Il secondo di Massimo Teodori, anch’egli storico, ma noto soprattutto per la militanza indefessa nelle file del Partito radicale di Marco Pannella (da cui peraltro si staccò non in modo particolarmente cordiale, ma questa è altra storia). Sia chiaro. “Per indegnità morale. Il caso Pasolini nell’Italia del buon costume” (Tonelli per i tipi di Laterza) e “Il vizietto cattocomunista” (Teodori, Marsilio) non possono essere comparati, avendo il primo carattere di rigorosa e, al contempo, adatta a un pubblico vasto, senza quelle isterie iperspecialistiche che troppo spesso hanno demotivato la nostra fame di contemporaneità, indagine storiografica e il secondo di pamphlet politico, ma certo aiutano a capire l’Italia del “secolo breve”.

TRA i casi che sempre hanno caratterizzato la “doppiezza” comunista vi è indubbiamente l’omosessualità. E il caso dei casi, diciamo così, è rappresentato da Pier Paolo Pasolini di cui oggi non mancano trombe (e tromboni…) che ne esaltano la figura letteraria e civile. Pasolini fu espulso dal Pci «per indegnità morale». Accusa gravissima, peggio di quel «frazionismo» che decimò, in epoca staliniana, le migliori leve del comunismo internazionale. Correva l’anno 1949. Pasolini si era appartato, nei pressi della sagra di Santa Sabina di Sesto al Reghena, frazione di Ramuscello, con quattro minorenni. Avrebbe offerto loro vino e dolci e poi il sesso l’avrebbe fatta da padrone. «Avevo un po’ ecceduto nel bere», dirà Pasolini al comandante dei Carabinieri della stazione di Casarsa e ci fu «un’esperienza erotica di carattere e origine letteraria accentuata dalla recente lettura di un romanzo di argomento omosessuale di Gide». Probabilmente, come ci rammenta Anna Tonelli, il poeta si riferiva a “L’immoraliste”, uno dei testi più “scandalosi” del Nobel per la letteratura. Risultato, PPP fu espulso dal Pci. In fretta e furia. Troppo ingombrante. Da quel Pci che, ricordano sia Tonelli che Teodori, denunciava (si legge sull’Unità del 29 ottobre 1949), «le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Sartre e Gide e di altrettanto decantati poeti e letterati che raccolgono i più deleteri aspetti delle degenerazione borghese». Con quel Gide, cui Palmiro Togliatti col celebre e temuto pseudonimo di Roderigo di Castiglia, consigliava «di occuparsi di pederastia dove è specialista». Omosessualità «mal tollerata da un partito che non a caso definisce ‘‘invertiti’’ tutti coloro che escono – annota Tonelli – dai caratteri stereotipati della fisicità e della virilità maschile, con l’uso della medesima terminologia discriminatoria adottata da fascisti e neofascisti». Per inciso, i dirigenti friulani che cacciarono Pasolini mai si pentirono della scelta. Basti leggere quanto dichiarava nel 1977 (quello è l’anno, non è un refuso) il dirigente comunista Ferdinando Mantino: «Un professore che abusa della sua influenza sugli allievi lo butterei fuori ancora oggi».

MA NON solo la sessualità è argomento tabù per l’allora «partito nuovo» (e tenendo conto che anche un mitico dirigente come Pietro Tresso, tra i fondatori del Partito nel 1921 a Livorno, forse ucciso da agenti stalinisti, trozkista e omosessuale, fu cacciato). No, ci sono anche i capitoli del divorzio e dell’aborto. Queste due faticose conquiste di civiltà portano la firma di Marco Pannella e della pattuglia radicale, dei liberali alla Antonio Baslini, dei socialisti come Loris Fortuna e, in generale, dei partiti laici. Certo, il Pci partecipò, ma più per una naturale spinta della base che per averci effettivamente creduto. Un’immagine raffigura plasticamente l’analisi di Teodori. Roma, a poche ore dal voto sul referendum sul divorzio del 1974. Tre piazze a favore. Tre piazze divise. Pannella, i socialisti e i radicali in piazza Navona. I laici (di cui peraltro Teodori esagera l’influenza e l’importanza) in piazza del Popolo. Il Pci in piazza San Giovanni. Guai a mischiarsi…
PS. Peraltro, le buone intenzioni non mancarono. Accadde a Bologna nel 1982. Il leader dell’Arcigay Franco Grillini vuol dimostrare il nesso inscindibile tra lotte operaie e diritti civili. Interviene, subito dopo, un “compagno” metalmeccanico. Che scandisce: «Sono pienamente d’accordo col compagno busone»… (tipica espressione emiliana per definire i gay ndr).