Notizie tratte da un dispaccio Ansa di oggi.

«I martiri non muoiono mai, Tahir Elci è immortale».

Scandendo queste parole, migliaia di persone hanno dato il loro ultimo saluto al leader degli avvocati curdi freddato in un agguato a Diyarbakir.

La bara di Elci – avvolta nella bandiera rossa, gialla e verde – ha sfilato nelle strade gremite della ‘capitale’ curda,  teatro di una sparatoria che ha scioccato tutta la Turchia. Ma oggi non è stata soltanto la giornata del dolore. Resta infatti da chiarire se Elci fosse davvero l’obiettivo dell’attacco oppure – tesi in qualche modo avallata dalle autorità turche – se sia stato ucciso da una pallottola vagante durante lo scambio di colpi tra polizia e killer. Il primo ministro Ahmet Davutoglu ha assicurato che le autorità stanno indagando, mentre il leader del partito filo-curdo Selahattin Demirtas non ha dubbi e parla di un «delitto politico».

Ma la rabbia dei curdi è già esplosa ed è sfociata ieri in manifestazioni di protesta contro il governo di Ankara a Istanbul e Diyarbakir, dove la polizia ha usato lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere la folla.

Al funerale di Elci in molti hanno urlato slogan contro il presidente turco Recep Tayyip Erdogan definito «assassino». «Il Pkk non è un’organizzazione terroristica», si leggeva su uno degli striscioni dei manifestanti. E, ancora, «Non ci arrenderemo. Il Pkk è la gente e la gente è qui».

L’avvocato per i diritti umani era da tempo in prima linea nei processi sugli arresti e gli omicidi di civili in Turchia. Il mese scorso era finito in manette per alcune ore con l’accusa di «apologia di terrorismo» dopo aver detto in una trasmissione televisiva di non considerare il Pkk un’organizzazione terroristica, come invece ritiene Ankara. «Anche se alcune delle sue azioni si avvicinano al terrorismo – aveva sostenuto – il Pkk è un movimento politico armato che ha delle serie rivendicazioni e beneficia di un grosso sostegno popolare». Dichiarazioni che gli erano valse diverse minacce di morte e avrebbero potuto costargli fino a 7 anni e mezzo di carcere, ma di cui non si era pentito: «Le mie parole non possono essere un crimine”

E noi stiamo a discutere di menate italiane. Complimenti a chi auspica una Turchia in Europa… (questo è un mio commento, eh)