“La politica!… Sembra una cosa tanto grande e non è che un pettegolezzo così piccolo! – Baruffe chiozzotte! – Invidie e gelosie, ambizione e volgarità! E’ l’interesse proprio, colla scusa di fare quello degli altri”.

No, non è una riflessione profonda dei Cinque Stelle o dei leghisti o del Pd, ma un passo di “Casta diva” di Gerolamo Rovetta, considerato, a mio parere non del tutto a ragione, precursore del verismo. Il romanzo viene riproposto da un gruppo di “capitani coraggiosi” che fanno editoria per passione: i romani di Studio Garamond. Date un’occhiata al loro catalogo e ne resterete piacevolmente impressionati. Tanto per rimanere in tema, “quelli di Studio Garamond” pubblicarono (e chi scrive ne ha parlato a lungo su questo giornale) un gustosissimo libro del tardo garibaldino Ettore Socci, I misteri di Montecitorio. Insomma, finalmente qualcuno ripropone il romanzo parlamentare, forma narrativa che caratterizzò l’Italia tra fine Ottocento e inizi Novecento. E non si pensi a qualcosa di elitario. Scrittori del calibro di Matilde Serao (si veda il bellissimo “La conquista di Roma”) si cimentarono in questa forma narrativa che è strumento assai più efficace di mille saggi per capire la storia politica. E che il filone sia ancor’oggi foriero di sviluppi è testimoniato dal successo di serie tv come House of cards (che però è roba statunitense quindi da valutare con estrema cautela: lì la politica è assai diversa dalla nostra) o da romanzi come il fortunato Il gioco delle caste dell’ex parlamentare radicale Giovanni Negri.

Ma torniamo a Rovetta. La trama è ben strutturata. Con il giovane ministro disgustato dalla politica, con i vizi dell’Italia post risorgimentale, con gli ideali garibaldini traditi e con un popolo affamato, misero, praticamente ridotto in schiavitù da un ceto politico inetto ed egoista. Con donne di malaffare e con ragazze pure e belle. Sullo sfondo, attrice non protagonista e unico elemento di oggettiva serenità, c’è Roma, coi suoi tramonti e i suoi lungotevere. Una Roma sporcata dalla politica politicante. Una Roma che si difende con la sua bellezza e la sua capacità di resistere costi quel che costi. “Casta diva” ha inoltre il pregio di anticipare, nella sua semplicità, i mali del nostro Paese che, dopo la crisi di fine secolo e i massacri dei lavoratori a opera dei vari Bava Beccaris, tentò la folle avventura coloniale, rinacque con il riformismo socialista dell’età giolittiana salvo sprofondare nella melma della Grande Guerra con conseguente avvento di Benito Mussolini. Una narrazione che spiega assai bene la storia d’Italia.

Come finalino, e per invogliarvi ancor più alla lettura, vi propongo questa riflessione (cfr. p.70): “Come tutti gli uomini del Parlamento, anche i più avanzati, anche i più scalmanati erano lontani col loro pensiero, col loro cuore e con le loro chiacchiere, da tutta quella miseria materiale e morale!”. E anche questa descrizione, così sensuale e così vera assieme (per chi ha amato veramente): “Il Parvis (protagonista del romanzo ndr) che le cammina accanto passo passo sente l’odore acuto della massa folta, confusa, ondulata dei capelli neri. Egli guarda, continua a guardare e sospira. Sono così neri e lucenti che abbruniscono la bella nuca rotonda e forte sotto il grande cappellone tutto bianco e tutto rosa”. Insomma, languide carezze. D’amore. Ben altra cosa rispetto alle miserie della politica…