CHI SIAMO? Dove andiamo? Oppure: uno spettro si aggira per il partito, lo spettro della scissione. Tanti slogan ancien per un Pd che sta implodendo. Fin dalle prime ore dell’alba. Quando Pier Luigi Bersani dice: «Dobbiamo mettere un alt e stoppare con forza quella roba lì, perché, se nel Pd entra gente che nulla c’entra con la nostra storia, il Pd diventa un’altra cosa. E allora io non so più se ci voglio stare». Riferimento esplicito al caso dei seguaci dell’ex governatore siculo Totò Cuffaro approdati nei Democratici, ma anche l’ennesimo vade retro ai Denis Verdini e ai partiti della Nazione. Insomma, la minoranza urla un po’ e dai «chiarimenti» passa alle minacce più o meno esplicite. A detta dell’ex capogruppo alla Camera, il lucano Roberto Speranza, il Pd muore se non dà segnali chiari su Cuffaro. E Davide Zoggia rincara: stop a deriva o è mutazione genetica. L’attacco è forte, la minoranza comprende che gli stessi renziani sono in imbarazzo. E la tregua non si è rotta solo a livello nazionale, ma anche localmente. Esemplare il caso-Sicilia. Se il segretario regionale Fausto Raciti (corrente Giovani Turchi) convoca per lunedì i garanti onde poter fare le analisi del sangue agli iscritti, il sottosegretario Davide Faraone replica duro alle critiche. Lo fa anche con il potente leader dell’Ennese Mirello Crisafulli, reo, in un’intervista a Qn, di aver avanzato dubbi sulle iscrizioni dei cuffariani.

SCINTILLE anche a Pisa e La Spezia (città del ministro Andrea Orlando che contesta il boom delle tessere: sono troppe, persino più che a Genova), così come in Toscana, dove il renzianissimo leader regionale Dario Parrini se la piglia con Bersani: si vergogni. Assicurano massima limpidezza i vice Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani, invitano a evitare «polemiche inutili» e parlano di «partito aperto» (della serie: non possiamo certo impedire alle gente di iscriversi). Di fatto, la sensazione è che sia cominciato il congresso. O che, a detta di uno dei pochi dalemiani rimasti in giro, «non sia mai finito».