ROBERTO Giachetti, classe 1961, vicepresidente della Camera e candidato alle primarie del Pd per decidere chi correrà per la poltrona più alta del Campidoglio, scuote la testa: «Se si continua con questa solfa, andiamo a sbattere».
Quale solfa, Giachetti?
«Trasformare una battaglia che riguarda l’amministrazione di una città in un duello in cui si ripropongono schemi nazionali».
Insomma, siamo all’ennesimo congresso del Pd tra Bersani col maldipancia, la Sicilia in fiamme per il tesseramento e l’arrivo degli ex di Totò Cuffaro, il partito della Nazione…
«No, affatto. Io so solo che corro a Roma per la mia città. Mi candido per amministrarla, non per polemizzare con Bersani o altri dirigenti. Mi interessa Roma. E vorrei vincesse il Pd».
Suo avversario principale, per ora, è Roberto Morassut.
«Uno che ben conosce la città. Ma l’importante è non trasformare una competizione di contenuti in una sfida per il contenitore».
Fuor di metafora?
«Se continuiamo – anzi: continuano – a far polemiche con una visione nazionale non andiamo da nessuna parte».
E magari alle elezioni capitoline vince il centrodestra…
«Peggio. Diamo un pessimo messaggio ai cittadini e li allontaniamo sempre più dalla politica. La nausea è già forte, dobbiamo evitare di aumentarla. Ne va del governo del Paese e delle realtà locali».
Un derby romano rissoso…
«Il mio discorso vale anche per Napoli, Milano e via elencando. È suicida andare avanti a colpi di male parole, polemiche, isterie. Concentriamoci sui programmi».
La voce: lei è fiacchetto…
«Chi lo dice non vede quante cose faccio e non ha capito nulla di quale sia la mia azione politica. Io ci credo. Io mi sono candidato quando nessuno voleva farlo. Nessuno mi ha costretto e…».
Via, Giachetti, il pressing di Matteo Renzi c’è stato.
«Lui mi voleva, ma la decisione l’ho presa io».
Scontentando la sinistra e la famosa minoranza Pd…
«…che sosterranno rispettivamente Stefano Fassina e Morassut. Legittimamente. Giustamente. Meno giusto, invece, farne occasione per regolamenti di conti interni al partito o al centrosinistra per questioni che nulla hanno a che fare con i problemi veri che stanno soffocando Roma».
Allora è disposto a giurarlo: nessun congresso nel Pd.
«Per me, no. Non me ne frega nulla dei congressi».
Forse alla gente interessa sapere chi comanda nel partito.
«Non credo proprio, davvero. Alle ‘ggente’ interessa che funzioni la propria città e l’Italia intera. Non se io sono renziano o se quell’altro è della minoranza o amenità del genere».
Lei è sempre stato convinto assertore della politica ‘glocal’: partire dal territorio per guardare al mondo intero.
«Dico no a provincialismi di ogni genere. Non sono disposto a sacrificare Roma per beghe nazionali che non interessano a nessuno. Io corro per vincere. E per arrivare poi in Campidoglio. Non per polemizzare sul tesseramento o su chi ‘c’è dietro’…».