«E QUANNO ce vo’, ce vo’». Ride un senatore di area geografica laziale (di più è vietato rivelare dato il patto tra gentiluomini intercorso). Una battuta che serve ad analizzare lo sfogo, di primissima mattina, dell’europarlamentare Pd Daniele Viotti: «La dico semplice, i cattodem hanno rotto il c…». Poi, gli hashtag: #buongiorno e (battutone) #cirinnamoreremo. E siamo solo a inizio giornata. Fino alle 19,13 – ora e minuto di sospensione della seduta – assistiamo a una girandola di psicodrammi, urla, provocazioni, toni alti.
Attenzione alle parole. Metafore, paragoni. Gian Marco Centinaio, capogruppo della Lega a Palazzo Madama, di nero vestito, riempie così la sua faticosa giornata romana: «La parola del Pd vale quanto un peto. Lo sottoscrivo e lo evidenzio (il peto? ndr). Io vengo da un’azienda e, quando con i miei clienti c’è un accordo, la stretta di mano è sacra». Il nesso è un po’ bizantino, ma si sa che la politica vive di complessità. Con metafore, appunto, che hanno un’eco in altre dichiarazioni.

COME, a esempio, quando Luca Squeri di Forza Italia parla di «purghe»: «Siamo – declina l’azzurro – alle purghe ideologiche. La senatrice Cirinnà consegna la patente della discriminazione a quanti non vogliono votare il suo ddl». Dopo il peto, la purga.
A onor del vero, i protagonisti della telenovela «Unioni civili» non si limitano ai paragoni un po’ così. Guardano avanti. Volano alto. In prima fila, c’è lei, Monica. La «Cirinnà» in carne e ossa, colei che dà il nome alla legge. Frasi scolpite: «Siamo arrivati al giorno X». Di più: «Oggi si sceglie da che parte stare della Storia». Il tutto non disgiunto da un tenerissimo (proustiano?) paragone: «Mi sento una giovane universitaria a poche ore dall’appello d’esame». Anvedi.
Nel frattempo, Viotti conferma il «quanno ce vo’ ce vo’» del senatore laziale: «Sono sbottato – spiega – perché la misura è colma. Da 30 anni aspettiamo una legge che regolamenti le unioni gay in questo Paese». Ma non basta. Giacomo Portas, definito «leader dei Moderati», non ci sta: non sono un catto-dem e ragiono con la mia testa. Più assertivo il senatore democratico Giorgio Pagliari: «Non abbiamo bisogno di nuovi barbari. Chi conosce solo l’arma degli insulti non meriterebbe neanche una risposta. Ma solo indignazione».
L’ha presa male. Ed ecco che, dopo la parola «indignazione», il lessico politico italiano torna sul classico. Andrea Marcucci, dem toscano, primo firmatario del «canguro», è furioso: «Grillini vi assumete una pesantissima responsabilità». Con faccia schifata, la vicesegretario Pd, Debora Serracchiani, sussurra: «Il Movimento tradisce il suo popolo e tutta l’Italia». Tutta, nessuno escluso.

POCO prima si consuma un botta e risposta indimenticabile tra Luigi Zanda (ma chi lo pettina?) e i leghisti. Il capogruppo renziano: «Vorrei un bicchier d’acqua». Il Carroccio: «No, non se ne parla» (aggiunta del solito senatore laziale: «E a letto senza cena!»). E poi c’è Gaetano Quagliariello, ex Ncd, ora in «Area», che corre a dare la mano al presidente dei senatori grillini, Alberto Airola, che parla e si veste come uno dei mods in Quadrophenia, leggendaria pellicola di Franc Roddam del 1979 che riprende un ancor più famoso album degli Who del ’73.

ALL’USCITA, il ministro Andrea Orlando ha l’aria profonda e grave: «Una strada sempre più impervia». Però. Mentre il pentastellato Vincenzo Santangelo se la piglia con Giorgio Napolitano: «Vergogna». La colpa dell’ex presidente? Avrebbe lasciato la tessera inserita per prendere la diaria. Schermaglie, direte. Vuoi mettere quando – correva il dicembre 1981 – il radicale Roberto Cicciomessere spiccò un salto sul banco del governo, cadde rovinosamente e i commessi riuscirono a salvarlo da una fraccata di botte da parte di esponenti del Pci?