«NON è una scissione. Meglio: non sarebbe una scissione».

Fausto Bertinotti, già leader di Rifondazione comunista, protagonista di celebri e innumerevoli battaglie a sinistra sia sul fronte socialista che comunista, scuote la testa. «Permettetemi – attacca – di restare fedele all’analisi gramsciana: lo spirito di scissione è una grande idea applicabile solo ed esclusivamente a una grande storia. Nel 1921 i comunisti si scindono dai socialisti perché sono state tradite le origini, i motivi di fondo della lotta di classe».
E ora, invece?
«Premesso il mio grande rispetto per tutti gli attori in campo, sono convinto che si stia facendo il gioco dell’oca: quale casella occupare? Andare avanti con la post-rottamazione declinata da Matteo Renzi oppure ricominciare dalla pre-rottamazione?».
E lei con chi sta?
«Con nessuno. Dal punto di vista politico, stare con Renzi è catastrofico, come dimostrano i successi del No e dei Cinque Stelle. Fare marcia indietro significa tornare all’origine dell’eutanasia della sinistra realizzata nel centrosinistra».
L’origine del male…
«Al di là delle battute è proprio così. Si tenga conto che si è perseguita l’idea, peregrina, di costruire una sinistra avulsa dalla lotta di classe. E ancora: si è costruita un’idea di Europa sui parametri di Maastricht che ha portato ad austerità e diseguaglianze. E non è finita: la governabilità è stata assunta come stella polare dell’azione politica. Quindi fare politica ha voluto dire stare al governo con le modalità imposte dall’Europa della Troika. Se non si esce da questa gabbia si muore».
Quindi secondo lei le vere scissioni sono quella di Livorno del 1921, del Psdi del 1947, del Psiup dal Psi nel 1964 e Rifondazione comunista nel ’91…
«Un attimo. Palazzo Barberini nel ’47 fu una scissione da destra. Si rifiutò l’idea della collocazione del Psi fuori dal Patto Atlantico e dalla parte della lotta di classe. Irrilevante dal punto di vista degli equilibri politici interni, importante perché permise alla Dc di non essere isolata».
E il terribile 1921?
«Incomparabile. Il 1917 e il Palazzo d’Inverno fanno la storia di un secolo. Quella rottura riguarda la storia del mondo ed è davvero epocale».
Psiup e Rifondazione, invece?
«Si inseriscono in un ciclo che riguarda le sorti del movimento operaio dell’Occidente europeo. Rifondazione comunista nacque dapprima per innovare la storia del Pci, poi come rottura all’idea del centrosinistra di accompagnare la globalizzazione capitalistica nella ricerca di un nuovo rapporto coi movimenti».
Insomma, se il Pd si spacca non è una cosa seria.
«Non ho detto questo. Ma certo parlare di scissione non è corretto. Separazione, divorzio… ci sono tante parole nel vocabolario».
Eppure anche in Francia i socialisti litigano di brutto.
«Non è la prima volta nella storia. Però, l’esempio francese ci dice una cosa, una sola: è morta la socialdemocrazia come l’abbiamo conosciuta fino a ora. Finita e non ricostruibile. Bisogna ricominciare da capo non arando il terreno su cui si è consumata l’eutanasia, non giocando nello stesso campo».
Se no vincono i pentastellati.
«Se no, chi è di sinistra e interessato al conflitto sociale per superare la società capitalistica foriera di così tante iniquità o non va a votare oppure va coi Cinque Stelle, specie nelle realtà del disagio sociale. Della ‘politique politiciénne’ non gliene importa nulla. Cerca la risposta ai propri bisogni, non scontro tra élite».
Pd irriformabile?
«Il Pd è un’ameba totalmente separata dalla società, dalla popolazione che soffre. Chi ha votato No al referendum e ha votato Cinque Stelle non si occupa di contese pro o contro Renzi, semplicemente si separa dalla politica».