Allora. Non son bastate trombe (e tromboni) per dire che Trump era il nuovo. Che avrebbe cambiato tutto. Che era voce di popolo e quindi di Dio. Detto, fatto. In tre giorni è riuscito ad appoggiare Israele sui nuovi insediamenti salvo poi fare marcia indietro. Ha offeso Nieto, presidente del Messico con la vergogna del muro (vergogna che dura dai tempi di Reagan e Clinton, sia chiaro: tanto son sempre uguali…). Poi ha cominciato a polemizzare con l’Iran dopo anni di duro lavoro dell’Europa per cercare una soluzione. Non è finita: si è preso con l’Unione europea e anche quel la May sta cominciando a capire che forse l’”asse privilegiato” non è un’idea ottima. Lasciamo stare Turnbull, premier australiano che ha risposto al miliardario senza farsi intimorire. Il tutto con la solita raffica di tweet (cinque in poco più di venti minuti…), tra cui uno dedicato ai contestatori che continuano a riempire le piazze degli Stati Uniti per denunciarne i provvedimenti. Secondo il neo-presidente Usa si tratta peraltro di “anarchici di professione, furfanti e manifestanti prezzolati”, i quali con le loro proteste “dimostrano quanto avessero ragione i milioni di persone” che “hanno votato per rendere di nuovo grande l’America!”. Le ultime parole scritte a caratteri maiuscoli.
Ogni commento mi pare superfluo. Avessi il dono della fede dovrei dire: “Che Dio ce la mandi buona…”.